Attestazioni di carità

Lina Ondei Magalini

Villafranca di Verona (VR)

Sono nata il 12 febbraio 1931 e sono stata battezzata da don Rodolfo che mi disse “Tutti quelli da me battezzati avranno vita movimentata e saranno pieni di verve come il sottoscritto”. Mi predisse che avrei viaggiato molto, ma mi sembrava impossibile date le mie scarse risorse economiche. E invece aveva ragione, perché alla fine ho visitato la Russia, la Persia, il Cairo, la Grecia e sono stata con mio marito a Parigi. Mi disse anche “Pensatemi che vi faccio trovare”. E quando mi dispiacqui per la sua assenza al mio matrimonio lui mi disse: “Io ci sono sempre”.

Lui benediceva; allora non c’erano queste case, qui... c’era un fosso e lui alla sera faceva le benedizioni. Lui benediceva, benediceva tanto. Credeva nella cattiveria, nel maligno e diceva sempre: “Dio sia benedetto, quello innanzitutto che vi aiuta anche quando credete che sia arrivato l’ultimo momento”. C’era una guerra politica durante gli anni del suo sacerdozio (don Rodolfo era abbastanza di destra) come nel film di “Don Camillo e Peppone”. E ricordo che don Rodolfo voleva che la gente andasse a scuola. Ricordatevi: ciò che gli interessava di più era la scuola, la cultura. Le ha aperte delle scuole, ma dopo sono state chiuse quando è finito il tutto. Diceva: “Quando uno ha un po’ di cultura riesce a fare tutto”. Don Rodolfo credeva nel maligno e benediceva, benediceva tanto. Diceva: “Non credere che la gente sia tutta malata di nervi o che sia pazza, in tanti c’è il maligno”. La Chiesa, quando uno riesce a tirar fuori qualche cosa dalla gente, cerca sempre di chiudere; infatti si è visto. Qualche volta ricordatevi una grande preghiera a don Rodolfo e a Santa Rita, ché lui l’ha fatta grande e gliel’ho detto a don Maurizio: “Non si può fare la stessa cosa anche per don Rodolfo?”.

Giovanni Gallimberti

Marghera (VE)

A 12 anni andavo con mia zia a Pellaloco. Ho constatato che don Rodolfo era un uomo straordinario e gli ho regalato un crocifisso. Conservo ancora una sua fotografia.

Maria Rosa Rossetti

Pellaloco (MN)

Io sono stata battezzata da don Rodolfo. Mio padre era il suo sagrestano e lo aiutava. Era buono e un santo. Era affetto da psoriasi. Conservo ancora sue fotografie. Mio marito, arrivato più tardi a Pellaloco, non ha avuto il privilegio di conoscerlo, ma ha portato sulle spalle la sua bara al funerale.

Mario Cerato

Dall’età di 8 anni lavoravo nei campi e volevo fare il prete. Ne parlai allora con don Rodolfo che la mattina presto andava a cercare le erbe nei campi e lui mi disse: “Non diventerai prete”. Aveva ragione perché prete non diventai. Aveva un seguito talmente cospicuo che anche da Roma veniva gente per parlare con lui.

Girolamo Bignotti

Pozzolo di Marmirolo (MN)

L’ho conosciuto all’età di 14 o 15 anni. La mia famiglia si rivolgeva a lui per necessità spirituali e materiali. Don Ridolfi aveva doti taumaturgiche e di preveggenza; era un esorcista e riusciva ad intervenire anche a distanza. Ma non era solo parroco o esorcista, aveva proprio doti particolari. Con la mia famiglia vivevano anche le mie due zie e una di queste era posseduta. Don Rodolfo la riceveva oppure benediva i suoi indumenti e la faceva stare meglio per un po’. Un giorno intervenne per acquietare le sue sofferenze anche a distanza; a tavola infatti mia zia esordì dicendo: “Tutti fermi che sta intervenendo don Rodolfo”. Si gettò a terra sbavando

a gattoni intorno al tavolo come fosse un animale e fece tutto il giro. Alla fine si rialzò come se nulla fosse successo. Un giorno, prima di partire per Pellaloco dissi a mio padre di salutarmi don Ridolfi. Arrivato da lui, anticipandolo, don Rodolfi disse: “Tuo figlio Girolamo mi manda i suoi saluti. Quando torni a casa ringrazialo”.

Mio padre era un assiduo credente, ma tante cose, per pudore allora non si dicevano e quindi di tanti fatti, perché altri certo ce n’erano, io non ero a conoscenza.
Mi risulta avesse anche doti di bilocazione; infatti un caso strano è successo a mio fratello Dante.
Pur ragazzino mi accorgevo della straordinarietà di questo sacerdote. Una volta venne qui a Pozzolo, mi confessò, ma ancor prima di dirgli i miei peccati lui li diceva a me.

Don Rodolfo era buono, mite, portava una veste povera e come stazza potrebbe ricordare quella di Papa Giovanni XXIII.
Don Rodolfo per me è santo, ma i preti ragionieri e baciamano di allora l’hanno tralasciato. Infatti il mondo di allora era troppo chiuso e preti come lui erano tacciati come stregoni. Non ha mai avuto facilitazione a livello curiale. Forse i sacerdoti dovrebbero avere più presente ciò che ha detto il nuovo Papa Francesco, dovrebbero profumare più di «pecora».

Bruno Gazzoli

Villafranca di Verona (VR)

Sono nato il 20 giugno 1948. Ero in terza elementare e facevo il chierichetto a Pellaloco. Ho ancora le foto della mia Prima Comunione. Per avermi alle ore 6 del mattino don Rodolfo mi dava 5 lire e una candela per la mia famiglia povera che accendevo la sera. Conosco un amico che è stato graziato da don Rodolfo per una gamba. Mio fratello Gianni è stato mantenuto economicamente per studiare a Verona, grazie a don Rodolfo.

Rosa Pasquale

Quaderni di Villafranca (VR)

Abitavo a Valeggio sul Mincio. Conoscevo don Rodolfo perché provvedeva a far liberare dai bruchi le foglie degli alberi (anche quelli da frutta) e anche i bachi da seta. Mi recavo da don Rodolfo con una foglia perché lui la benedicesse e tenesse lontano le bestie dagli alberi; perché benedicesse anche i polli e maledisse i ratti così che andassero in un altro posto.

Gabriella Remelli

Roverbella (MN)

Don Rodolfo era buono e faceva del bene a tutti. Mio marito abitava a Pellaloco, al Belvedere, e lì anche lavorava nei campi. Ricordo che mi raccontò che lui e la sua famiglia chiedevano grazie a don Rodolfo per essere liberati dagli insetti del frumentone e dai topi e lui li liberava.

Franca Zontella

Pellaloco (MN)

In estate ci mandava dalle suore per 15 giorni. Non c’era la televisione allora nella canonica aveva messo a disposizione una televisione nella stanza e andavamo a guardare Rin tin tin. Le donne andavano dalle suore, i maschi avevano i biliardini. Monsignor Ghirardi era professore, non era come don Rodolfo che faceva tanto per i ragazzi. Una signora veniva sempre perché lui sapeva tutto. Un pullman veniva tutti i venerdì con i pellegrini, soprattutto per il giorno di Santa Rita. Scherzava molto don Rodolfo. Il mercoledì faceva delle funzioni. Don Roberto faceva l’angelo, don Danilo il diavolo e inscenavano un dialogo. Quando si andava da don Rodolfo sapeva tutti i peccati della gente. All’uscita nord dell’autostrada voleva inoltre costruire un supermercato. Aiutava tanta gente anche a studiare.

Felice Zontella

Pellaloco (MN)

Sono nato nel 1926. Don Rodolfo era povero povero tanto che bruciava le sedie per scaldarsi. Non aveva niente, poi ha inaugurato la devozione a Santa Rita. Voleva fare la stazione per il paese. Io e mia moglie ci siamo sposati nel 46 il 7 settembre con don Rodolfo. Da 67 anni sono sposato. Noi eravamo dell’azione cattolica. Ho 87 anni il 29 luglio. Per Pasqua la sera del Venerdì Santo facevamo la via crucis, arrivavamo fino al casello. Renato e Ginetto erano i parenti di don Rodolfo. La mamma di don Rodolfo si chiamava Gege.

Lino Costa

Pellaloco (MN)

Da don Rodolfo veniva tanta gente. Era un botanico, ordinava delle erbe. Quando uno andava là sapeva già cosa aveva. Era una grandissima persona, era bravo a dir Messa, a far la predica, era svelto. Aveva in progetto di aprire un villaggio, il Villaggio Santa Rita, così come una stazione del treno. Tutti i venerdì venivano pullman per lui da Verona. In ricordo di don Rodolfo vengono ancora sempre molte persone alla festa di Santa Rita. Don Rodolfo era una gran persona, una persona stupenda.

Bortolo Dalla Via

Povolaro di Dueville (VI)

Avevo 19 anni quando corteggiavo una ragazza, Artesina Quintarelli, della periferia di Verona che aveva uno zio monsignore. Era molto amica di don Rodolfo e un giorno mi portò a conoscerlo. Questi mi disse chiaramente di dimenticarmi di quella ragazza perché ne avrei conosciuta un’altra che sarebbe diventata mia moglie e così fu. Angelina si sposò e io anche. Da allora non riuscì a dimenticarmi di don Rodolfo e saltuariamente andavo a trovarlo. Nel 1962/1963, raccontata la storia, portai anche mia moglie a visitare il cimitero e la chiesetta di Santa Rita. Sono due o tre anni che abbiamo ricominciato a frequentare più assiduamente la chiesa di Santa Rita. Inoltre so che don Rodolfo collaborava con le suore della Piccola Opera del Sacro Cuore di Gesù a Castiglione delle Stiviere (la cui sede era in via Caraffe 30). L’associazione era destinata ai bambini abbandonati e parecchie volte, ogni tre o quattro mesi, mandavamo un piccolo contributo economico. Recentemente, da qualche anno, poiché le suore sono via via decedute, ci hanno riferito di non mandare più soldi perché l’associazione, purtroppo, stava chiudendo. Infine so che c’era un grosso industriale del mantovano, ora deceduto anch’egli, che aveva più di mille operai e quando doveva brevettare una macchina andava a fare una gita a Pellaloco per farsi consigliare da don Rodolfo.

Adriana Cordioli

Mozzecane (VR)

Avevo 8 anni quando don Rodolfo è morto; ricordo che confessava anche quando diceva Messa. Le persone si avvicinavano durante Messa e lui li assolveva. Al suo funerale il dispiacere fu grande, ma fu molto bello e toccante vedere le bambine travestite da angeli con le vesti e le ali.

Rino Garonzi

Mozzecane (VR)

Io sono nato nel 1948 ed ero bambino quando c’era don Rodolfo. Era anzi è un mito. Don Rodolfo faceva grazie, ma lui stesso era stato graziato. Aveva da giovane un tumore al polmone e ha promesso a Santa Rita che in cambio della guarigione si sarebbe fatto prete. La guarigione ci fu e visse per sempre con un polmone solo.

Luigi Turina

Malavicina (MN)

Don Rodolfo era di robusta costituzione e era alto 1,75 metri circa. Non aveva barba, aveva la pelle di un bambino. Aveva un polmone solo ed è diventato prete grazie alla guarigione ottenuta da giovane. Aveva studiato medicina. Il primo battesimo che ha officiato è stato quello di mia sorella, Rita Perina. Fin da subito nacque la venerazione verso Santa Rita. Negli anni ’40, a causa della guerra, la povertà era tanta che don Rodolfo fu costretto a bruciare le sedie e i mobili per scaldarsi. Alle 6.30 del mattino veniva tutti i giorni a dar la comunione ai miei nonni, indossando il suo mantello. Spesso era di casa e si fermava a mangiare la polenta abbrustolata col salame e a bere il vino, anche un litro, ma senza ubriacarsi.

Una volta avevamo sopra di noi moltissimi topi che non ci permettevano di dormire. Don Rodolfo mandò loro una maledizione e questi in riga andarono via. Fu una scena memorabile.
Posso raccontare un fatto cui ero presente. Era la mattina del Corpus Domini del 1948 e si tenne molto presto la processione nella Corte Grande. Erano i tempi degli scioperi. Erano presenti circa 50 persone. Don Rodolfo portava l’ostensorio e io facevo il chierichetto. Un partecipante, forse per ragioni politiche, si adirò con don Rodolfo e si avventò contro di lui. Don Rodolfo gli disse in dialetto bresciano: “Tu farai una brutta fine. Morirai con la bava alla bocca come un cane rabbioso”. Dopo un po’ di tempo questi, impazzito, fu rinchiuso in manicomio e là morì.

Un’altra volta successe che un certo Storari detto ‘Balota’ voleva tagliare il collo o la pancia a don Rodolfo e si armò di ronchina, attrezzo agricolo con lama ricurva. Don Rodolfo, che in realtà non poteva sapere che stava andando da lui, andò nel piazzale ad aspettarlo e gli disse: “Ti sei alzato male stamattina? Cos’hai Balota che hai la ronchina e ce l’hai con me?” Balota scoppiò in pianto in atto di pentimento.

Era un fascista sfegatato don Rodolfo, correva voce che andasse una volta a settimana a Roma a fare religione ai figli di Mussolini.
Tra gli anni 1947-1948 o 1948 e 1949 sembrava che monsignor Menna volesse mandare agli arresti don Rodolfo. Infatti per 15/20 giorni fu obbligato a tenere la canonica e la chiesa chiusa durante il giorno perché gli era vietato ricevere visite. Poteva solo celebrare la Messa. Poi furono fatti accertamenti da parte del vescovo che verificò che don Rodolfo non era un ciarlatano e poteva quindi continuare ad esercitare la professione di sacerdote.

Poi il vescovo diventò di casa a Pellaloco, più che in una città. C’era sempre qualcosa da benedire o inaugurare e mia sorella era quella che recitava sempre la poesia per dargli il benvenuto. La banda musicale che sempre l’accoglieva e presenziava agli eventi importanti era di Quaderni, frazione di Villafranca.

Molti erano affezionati a don Rodolfo e venivano da tutta Italia. Monsignor Canavese di Venezia veniva sempre a Pellaloco per le Quarantore.
La chiesa era piena di grazie ricevute. Quando venne monsignor Ghirardi molte furono portate via, tante che si poteva riempire un camion. Erano sia grazie per Santa Rita, ma alcune erano anche per lui.

I Falck, importanti industriali di Milano, finanziarono un asilo a Pellaloco, ex convento. Erano gli anni 1952/1953 e l’asilo era gestito da 4 suore, mantenute da don Rodolfo, che badavano a circa 5 o 6 bambini.
Nel 1953 la sera del Venerdì Santo portarono anche dei foresti un crocifisso ligneo in ringraziamento: in quell’occasione ci fu una processione per portare il crocifisso a spalla di circa duemila persone che

andava dal passaggio a livello della stazione fino alla chiesa. Sempre nello stesso anno, don Rodolfo istituì una settimana liturgica a Pellaloco durante la quale si celebravano le Messe in tutti i riti: armeno, greco ortodosso, ambrosiano. In questa occasione accorsero personaggi illustri provenienti da diverse parti del mondo.

Don Rodolfo fece anche costruire una fabbrica per donne e ci lavoravano circa 120 operaie della zona. Erano molte pensando che le anime di Pellaloco erano circa 300. I nomi più importanti erano quelli di Turina, Monfardini, Tofoli, Perina, Tabarelli e Zontella. La fabbrica voluta da don Rodolfo fu poi venduta in tempi recenti per ristrutturare la canonica della chiesa.

In canonica don Rodolfo aveva fatto mettere una televisione e tutte le sere si poteva andare a guardarla fino alle ore 21.30/22.00.
Nel 1957 furono aggiunte al campanile due campane donate da un certo Ceccato di Alte Montecchio a Vicenza, che faceva compressori. Le precedenti tre erano state benedette dal prima vescovo e poi Papa Pio X. Infatti quando toccò al vescovo Poma benedire le altre due don Rodolfo disse: “Pio X da vescovo divenne Papa quando le benedì, chissà che anche lei eccellenza non lo diventi”. Dopo poco, nel 1958, in effetti entrò a far parte del conclave per l’elezione del nuovo papa.

Mi disse un giorno don Rodolfo, quando avevo 16 anni, che prima che il futuro Giovanni XXIII diventasse papa, nell’ottobre del 1958, passò da Pellaloco e lo stesso don Rodolfo gli profetizzò in qualche modo che sarebbe diventato pontefice. Sembra infatti che gli disse: “Vedo una macchina importante con sopra un cardinale”. Ci credo perché questo fatto me lo raccontò in chiesa e là non avrebbe mentito.

La statua bianca di Santa Rita, posta ancora oggi sul piazzale davanti alla chiesa, fu invece donata da un certo Cabianca di Verona, un pilota.
Don Rodolfo era molto attaccato a don Danilo Vareschi, poi parroco a Goito e ad un altro sacerdote di Roverbella. Faceva loro recitare per i bambini, ma non c’era attività oratoriale a Pellaloco.

Per molto tempo don Rodolfo fu affetto da psoriasi e ogni anno per 15 giorni si recava a Comano (in Trentino) alle Terme per curarsi. Purtroppo di psoriasi morì. Nell’ultimo tempo era infatti tutto sfigurato in volto.
Don Rodolfo aveva tanti soldi che non si sa da dove provenissero. Lasciò quadri di lusso di altissimo valore. Due di Milano, Renato e Ginetto Cherubini, lo chiamavano “zio”, ma non ho mai capito esattamente chi fossero perché lui zio non poteva essere essendo figlio unico. Erano figli della perpetua di don Rodolfo, chiamata Ginetta. Invece, quando comprai un trattore da un certo Gallina di Lonato lui mi disse: “Io sono parente di don Rodolfo”. Quindi qualche parente più prossimo l’aveva. Don Rodolfo era molto vanitoso. Ci mandava a convegni, riunioni, ritiri spirituali. Un anno ricordo ero andato grazie a lui a Sailetto presso un vecchio fabbricato della curia. Un altro anno andai a Castiglione delle Stiviere, due anni dalle Ancelle della Carità in via della Conciliazione a Mantova.

Valentino Toffoli

Pellaloco (MN)

Da don Rodolfo veniva tanta gente a chiedere grazie. Una volta un uomo gli chiese di poter vincere alla “Sisal” e lui lo scacciò. Ho conosciuto don Rodolfo quando ho cominciato a fare il chierichetto. Una cugina di mia moglie aveva una bambina malata. Don Rodolfo le benedisse i vestiti e la bambina guarì. Veniva sempre a trovare don Rodolfo un signore di Milano e tutti i sabati andavano da lui anche un certo Ginetto e Renato, uno dei quali appassionato di caccia, che dicevano di essere suoi cugini. Era una persona per bene e manteneva gli studenti negli studi. Mandò un certo Gazoli Gianni di Mozzecane a studiare a Mantova. Don Rodolfo era un vero ballerino. Ballava tanghi, valzer, balli lisci. Ad ogni matrimonio il primo ballo della sposa toccava sempre a lui. Aveva comprato un giradischi, ma voleva sapere chi lo usava prima di prestarlo per far festa. Mio padre, Toffoli Ernesto, allora sessantenne aveva una paresi a un braccio e mia madre andò da don Rodolfo a chiedere aiuto. Don Rodolfo gli toccò il braccio e mio padre guarì. I medici si facevano pagare, mentre don Rodolfo

guariva e toglieva loro il lavoro. Inoltre so che due volte alla settimana si recava a Roma per insegnare Religione ai figli di Mussolini. Al funerale di don Rodolfo molta gente arrivò da tutta Italia. Fu stampata una cartolina in occasione della sua triste perdita.

Silvana Cordioli

Pellaloco (MN)

Io sono nata qui a Pellaloco. Avevo sei anni quando don Ridolfi è morto. Ricordo della campana che continuava a suonare e di tutta la gente che arrivava per visitare la salma perché era deceduto qui. Venivano da lui con i vestiti, magliette, indumenti intimi come una canottiera, una camicia che facevano proprio toccare al parroco per strappargli personalmente la grazia della guarigione.

Renata Giusti Garonzi

Sapeva già i tuoi peccati e non ti faceva fare la comunione se vedeva che non eri a posto con la coscienza.

Maria Tosi

Mozzecane (VR)

Era una persona speciale. Bisognerebbe scrivere di lui tutto ciò che di bello si può scrivere. Quando qualcuno aveva bisogno lui c’era, era sempre presente per tutti. Lasciava la porta aperta a tutti. Ha fatto tanto bene. Insegnava latino a mio figlio ed eravamo amici. Passava spesso a salutarmi al mio negozio ortofrutticolo e mi inviò una lettera e una cartolina.

Berta Bonetti Prati

Tormine (MN)

Il pomeriggio venivo in chiesa e credevo tanto in don Rodolfo e Santa Rita. Ho allevato i miei figli senza marito e tutte le domeniche venivo qua a Messa perché Santa Rita mi aiutava.

Giovanni Gaioni

Goito (MN)

Mia madre Ermelinda Falavigna era molto amica di don Rodolfo. Otteneva tutto da lui. Eravamo agricoltori e lavoravamo nei campi. Il proprietario terriero voleva farci lavorare la domenica per irrigare i campi stessi. Andai da don Rodolfo per chiedergli di fare qualcosa e lui ascoltò la mia richiesta. Fece in modo che il datore di lavoro cambiasse giorno per l’irrigazione e non dovetti mai lavorare di domenica.

Negli anni 1950 – 1952 facevo il soldato e fino all’anno ’54 mi recai per quattro volte a San Giovanni Rotondo. Negli stessi anni, anche il padre della futura moglie vi si recava.

Antonietta Tollio

Castiglione Mantovano (MN)

Don Rodolfo era molto umile, dava conforto e consiglio. Era cordiale con tutti. Mia madre aveva trovato una corona di piume intrecciatissima, segno di maleficio. Don Rodolfo le disse di bollirla e poi buttarla via.

Achille Tollio

Castiglione Mantovano (MN)

Io ero piccolo, erano gli anni tra il 1953 e 1954. Andavo dai Salesiani e facevo la raccolta dei francobolli che poi mi rubarono là in collegio. Don Rodolfo riceveva ogni giorno dalle venti alle trenta lettere. Andava a ritirarle nella cassetta della posta, leggendo solo il nome del mittente: il contenuto lo conosceva già... Regalava a me i francobolli che provenivano da tutto il mondo (ricordo francobolli della Germania, del Belgio, perfino dell’America.

In un’altra occasione mia sorella si era fidanzata con quello che è il suo attuale marito. Lui era un bravo ragazzo, ma lei ad un certo punto lo allontanò a causa di problemi personali: era molto nervosa e non mangiava quasi più. Si è così recata da don Rodolfo il quale l’ha avvertita che il suo stato depressivo dipendeva da una “stria” (una fattura). Don Rodolfo le ha anche profetizzato che la fattucchiera sarebbe andata a casa sua la mattina seguente. Infatti si presentò una donna, madre di una ragazza precedentemente fidanzata con il nuovo ragazzo di mia sorella. Trovammo nei cuscini ricordo bene perché spinto dalla curiosità delle corone così fittamente intrecciate da non potersi attribuirsi ad opera umana.

Infine so che la signora Cattelan di Roverbella, ma precedentemente di Asola, un giorno andò a salutare don Rodolfo e gli disse in dialetto bresciano: “Che brutto paese che è questo!”. Don Rodolfo allora le rispose: “In questo brutto paese tu abiterai”. E lei: “Io in questo paese non verrò mai!” Qualche anno dopo, la signora si ritrovò col marito a comprare un’azienda di cinquecento biolche a Pellaloco e lì andarono anche ad abitare.

Don Rodolfo era molto buono e in canonica teneva anche dei canarini che curava quotidianamente.

Giordano Maffessanti

Castiglione Mantovano (MN)

Don Rodolfo era molto cordiale. La sera andavamo spesso io e i miei amici a trovarlo: ci confessava e bevevamo qualcosa. Ci chiamava “i terremoti di Castiglione”. Sono elettricista da molto tempo a Castiglione e mi occupai in passato, nel 1958, dell’illuminazione della nuova canonica di Pellaloco, costruita da don Rodolfo. Mi sarei dovuto occupare anche di quella del Villaggio Santa Rita, ma poi il progetto non fu portato a termine. Il motto di don Rodolfo era inizialmente: “Se entri nel Villaggio Santa Rita affamato e nudo, ne esci con la pancia piena e il vestito nuovo”. Don Rodolfo ideò anche una fabbrica di tessuti che ospitasse le operaie della zona; fu però costruita solo l’intelaiatura del capannone e resistette non molto tempo come fabbrica. Per conto mio era un sant’uomo. So che mio padre, Maffessanti Giovanni, consigliò al capo cantiere della farmacia di Castiglione Mantovano, di fronte alla Casa Cantoniera, di recarsi da don Rodolfo perché il figlio era malato da tempo. L’uomo non ne volle sapere inizialmente, ma poi mio padre riuscì a convincerlo. Dopo una settimana arrivò la notizia che il figlio di quest’uomo era guarito. Mio padre inoltre aveva un’ulcera grossa come un chicco di riso. Don Rodolfo per placare la sofferenza gli disse: “Prendi un cucchiaio di Amaro Felsina ogni sera prima dei pasti principali”. Questo consiglio fu ben accetto perché mio padre da allora non soffrì più. Don Rodolfo mi disse che aveva fatto studi medici e che diventò prete in seguito a una guarigione. Non andava molto in giro, stava sempre nei pressi della chiesa ad accogliere le persone che venivano a fargli visita. Un paio di giorni a settimana arrivavano da lui perfino delle corriere. Il successore di don Rodolfo, monsignor Ghirardi, molto studioso abolì quasi il culto di Santa Rita, ma fortunatamente fu riportato da don Roberto Fornari.

Rodolfo Rodolfi

Boutigny Prouais Francia

Sono l’unico figlio di un cugino diretto di don Rodolfo. Mio padre, Davide Vittorio Redolfi, era nato a Castiglione delle Stiviere, ma negli anni ’20 era partito in cerca di fortuna con uno dei suoi fratelli, Cesare, probabilmente perché un amico di famiglia, che abitava vicino ad Esenta di Lonato, aveva un negozio a Parigi. Mio nonno, Pietro Redolfi, aveva avuto infatti con mia nonna Tranquilla Onofrio (Concordia, Speciosa, Modesto e Galantuomo il nome dei suoi fratelli) 5 figli: Serafina (che ha avuto a sua volta con Giuseppe Gallina le figlie Iole, Elda e Rosanna) che abitava a Ponterosso di Ghedi, Maria (che ha sposato, come la sorella Serafina uno dei due fratelli ‘Gallina’ di Montichiari - Ottorino), Davide Vittorio (mio padre), Cesare (che ha avuto una figlia, Maria Teresa Residori, tuttora vivente a Guidizzolo) e Silvio (che per un breve periodo aveva raggiunto mio padre e suo fratello Cesare a Parigi). Ma questi non erano gli unici parenti di don Rodolfo: aveva un altro cugino diretto, Davide, che ha avuto a sua volta un figlio di nome Mario, il quale a sua volta ha avuto Davide e Maurizio (tuttora vivente nel Bresciano).

Mio padre Davide si è sposato con mia madre, Adele Maria Montani, con origini italiane, ma nata a Parigi. Io sono nato a Parigi il 27 agosto 1940 e qui vivo tuttora. Andavo spesso con la mia famiglia a Pellaloco da don Rodolfo, ma a diciott’anni non avevo la maturità per capire il suo valore. Sapevo che all’inizio prestava servizio a Castiglione delle Stiviere, ma poi era stato mandato dal Vescovo dell’epoca a Pellaloco perché quest’ultimo era invidioso dei suoi carismi. Ricordo che sorrideva sempre e aveva una buona parola per tutti: anche a me impartiva spesso preziosi consigli. Ricordo anche che negli ultimi anni della sua vita aveva piaghe sulla fronte ed è morto otto giorni prima rispetto a mio papà. Ai miei genitori aveva predetto che sarei tornato vivo dalla guerra e così fu: tornai a casa sano e salvo, dopo aver combattuto due anni in Algeria. Don Rodolfo aveva dato alla mia famiglia l’albero genealogico che aveva ottenuto a Roma: aveva infatti scoperto di avere origini nobiliari (lo stemma araldico raffigura tre stelle, un toro e un’aquila a due teste con la scritta “Virtus”), ma dopo l’avvento di Napoleone la famiglia era probabilmente caduta in disgrazia e i Rodolfi (o Ridolfi o Redolfi molteplice era la possibilità di scelta dell’uso del cognome) diventarono contadini. So che don Rodolfo era appassionato di Egittologia e aveva delle statuette egiziane originali.

Gianni Gazzoli

Mozzecane (VR)

Il paese viveva nella Corte grande. C’era il fabbro e il falegname. Io abitavo nel paese e tutte le mattine andavo a fare il chierichetto. Avevo 6/7 anni, la messa era alle 6 del mattino. Mia madre mi accompagnava fin lì al calar della luce. C’era solo un lampione. Io avevo paura. Ho fatto il chierichetto finché non ho finito le elementari. E poi sono stato a casa un anno in attesa di andare a lavorare. La mia era una delle famiglie più povere. La mia era la più povera di tutte. Eravamo in 6 fratelli. Don Rodolfo non voleva andassi a lavorare. Diceva: “Ma no, poveretto. L’è mingherlin. Cosa vuoi che vada a lavurar. Poi è così bravo a scuola. Ci penso io.” E allora sono andato a Villafranca a far le medie con avviamento commerciale. Una volta promosso, a 14/15 volevo andare a lavorare. Ma don Rodolfo non voleva e mi ha mandato in Collegio a Piacenza. Il direttore Luigi Rossi di questo Convitto (Sant’Antonino in Via Abbondanza a Casali) era venuto da don Rodolfo perché la figlia aveva un ritardo cognitivo per cui si saranno accordati. Mi ha accompagnato in taxi don Rodolfo stesso al collegio, con Luigino Rossetti, mio amico. Ho preso il diploma di “Computista Commerciale” e poi sono tornato. Don Rodolfo voleva che diventassi ragioniere e voleva che lavorassi in banca a Roverbella. Lui chiamava tutti “terremoto”. “Terremoto, ti mando in banca a Roverbella” diceva. Sono andato a lavorare. Avevo 17 anni abbondanti, quasi 18. Ma don Rodolfo non contento mi ha mandato a Verona, all’Aleardo Aleardi che è una scuola privata dove si pagava una retta abbastanza alta e facevo Ragioneria, ma durante l’estate don Rodolfo ha incominciato a non star bene. Qualche giorno prima che morisse, sono andato a trovarlo alla Clinica San Clemente di Mantova che, una volta, si trovava vicino alla stazione di Mantova ed era gestita da suore. Era sul letto accerchiato dai notai del paese, 3/4/5/6 persone. Mi ha guardato e mi ha detto: “Io muoio, ma tu non preoccuparti che per la scuola ci penserà don Vittorio”. Don Vittorio era il prete di Tormine che nel frattempo aveva preso in mano la gestione della parrocchia. Così ho continuato la scuola a

Verona. Nel frattempo abitavo a Santa Lucia di Mantova, non abitavo più a Pellaloco. Ma l’8 dicembre del ’61 don Vittorio mi ha detto che non c’erano più soldi e così, nonostante avessi provato a parlare con il preside, sono rimasto a casa. E successivamente a lavorare in “Saira” a Villafranca per 25 anni. Ho girato il mondo viaggiando (Germania, Francia, Spagna e Paesi Arabi). Don Rodolfo quando era in vita mi mandava in montagna con Luigino Rossetti, che vive a Milano. Maria Rosa Rossetti (la sorella) e Primo Vencato più di tutti possono raccontare di don Rodolfo. Io posso dire che ero sempre lì in Chiesa e mi faceva fare un sacco di lavoretti, a volte utili, a volte erano solo pretesti per darmi 100 lire. Con me, intorno a don Rodolfo c’erano Luigino, Franco Rossetti (il cugino di Luigino) e Mario Madella che abita a San Giorgio di Pellaloco. Di don Rodolfo so una cosa: che tutti quelli che venivano qua, andavano via contenti. Veniva gente disperata, gente che sicuramente aveva dei problemi. Andavano via tutti contenti. Tutti. Ho solo un episodio da raccontare di don Rodolfo. Mio padre ha fatto la guerra in Russia ed è tornato a casa pieno di dolori. Nel ’50 o ’51 è stato operato di ulcera; una sera era stato veramente male e mia madre era disperata. Decidono quindi di andare da don Rodolfo. Mia madre ha tirato qualche sassolino alla finestra. Don Rodolfo senza chiedere nulla ha aperto la finestra e ha detto: “Ma cosa piangi? Vai a casa che tutto andrà bene!”. E tutto andò bene. Questo è l’unico episodio che ti posso raccontare. Per il resto sono abbastanza diffidente. Mi ricordo quando abbiamo costruito la canonica e il chiostro. Ho fatto un po’ il manovale io. Suonavamo le campane e ai concerti. Io, Mario, Franco Rossetti e Giuseppe Chiarini detto ‘Cicarone’ che abita a Castiglione Mantovano. Il fratello è il marito di Maria Rosa Rossetti. Qui a Pellaloco da don Rodolfo venivano corriere tutti i giorni o almeno 2 o 3 volte la settimana. Se ne andavano tutti contenti. Non so che studi abbia fatto, ma sicuramente era un botanico ed era anche psicologo. Riusciva a capire la gente, a capire quello che voleva. So che era amico di Padre Pio e c’era un rapporto con Padre Pio. Il signor Rizzotti che abitava oltre il passaggio a livello cantava come tenore in chiesa. Valorizzava, A me ha mandato a studiare il piano a Tormine dalla maestra d’asilo e sono riuscito a suonare in chiesa il “Tantum verbo sacramento”. Tutte le sere io e Primo Vencato andavamo in canonica a guardare la televisione: don Rodolfo guardava il telegiornale e poi Primo lo accompagnava in camera. Nel ’54 quando è nata mia sorella. Mia moglie abitava a Mozzecane e a 2 anni non stava bene. Dicevano che c’era sotto un malocchio. Il padre con una maglietta è venuto qui da don Rodolfo: lui gliel’ha benedetta, mio padre è tornato a casa, gliel’ha messa e mia moglie non ha più avuto niente.

Guglielmo Campara

Pellaloco (MN)

Ricordo episodi legati alla vita di don Rodolfo che risalgono a quando avevo nove anni. Faceva giocare molto noi bambini e ci teneva uniti. Ricordo che si spendeva molto per far sì che le famiglie fossero compatte.

Sandro Cancellieri

Treviso (TV)

Poco prima che morisse la Chiesa era un santuario a livello nazionale (soprattutto il mercoledì). Don Rodolfo aveva doti di taumaturgo: imponeva le mani e ha dato origine ad un culto fortissimo. È morto quando avevo 16 anni e ancora vado a pregare sulla sua tomba. Anche don Fornari, aveva perpetuato questo culto di don Rodolfo.

Lino Andreani

Roverbella (MN)

Don Rodolfo aveva fatto molto per il paese e per i suoi parrocchiani. Era sempre sorridente e aveva tante capacità e molte persone si rivolgevano a lui. Venivano addirittura i carabinieri a mantenere l’ordine tra la

folla di persone che aspettava di essere da lui ricevuta. Ricordo che don Rodolfo era politicamente schierato a destra e aveva spesso discussioni accese con i comunisti. Ricordo poi che nel ’61, a vent’anni, ero andato a trovarlo con altri amici alla clinica “San Clemente” di Mantova, dov’era ricoverato, per salutarlo. In quell’occasione abbiamo cercato di incoraggiarlo, dicendo che avremmo fatto una grande festa al suo ritorno a Pellaloco, ma lui probabilmente sapeva che non sarebbe mai tornato; piangeva e ci diede 5 mila lire come gesto d’affetto. Era molto generoso; infatti tutte le domeniche trovavamo il nostro biglietto di ingresso al cinema di Tormine già pagato. Ricordo infine la processione che ci fu per portare la statua del Cristo (che è ora in chiesa) a Pellaloco: io fui tra quelli che portarono la statua a mano da Tormine e ricordo che quel giorno, un Venerdì Santo, faceva molto freddo. Sono sempre stato molto attivo in parrocchia; facevo anche parte del coro dall’età di 7 anni. Ricordo che dopo le prove canore, don Roberto Fornari, curato a Roverbella, si fermava spesso a dormire a Pellaloco: lui e don Rodolfo erano molto amici.

Rosanna Tontini

Castelbelforte (MN)

Non conoscevo la figura di don Rodolfo, ma una signora di nome Anna, mancata da poco, mi ha fornito qualche testimonianza che lo riguardava tanto che ho scritto un libricino dal titolo: “Don Rodolfo Ridolfi un uomo nel grande disegno divino”. Qui racconto di alcuni episodi particolari: un giorno don Rodolfo si trovò davanti una donna che piangeva perché non le arrivava il latte da dare al suo bambino appena nato. Don Rodolfo, intervenne con le sue preghiere e tutto si sistemò. Un’altra volta invece venne in soccorso ad un pastore: i suoi vitelli si erano ammalati tanto da non riuscire più a muoversi e don Rodolfo suggerì di lavare i loro zoccoli con l’aceto. Presto tornarono a muoversi come prima. Infine la signora Anna mi raccontò un’ultima vicenda: don Sergio Menni di Riolo Terme nel 1945, che al tempo era Cappellano del Comando Militare della zona, aveva raccolto dei bambini illegittimi che avrebbe dovuto abbandonare non potendo tenerli con sé, ma ecco che don Rodolfo intervenne per salvarli. Quest’ultimo decise infatti, in accordo con don Sergio, di portarli a Castiglione delle Stiviere per poi affidarli alle Piccole Suore della Divina Misericordia: grazie a questo gesto tutti i bambini sono stati accolti dalle suore e poi con il tempo sono stati adottati da diverse famiglie del mantovano.

Giovanni Molani

Fienili di Roverbella (MN)

Quando incontrai don Rodolfo ero molto giovane: un giorno ero in motorino con un amico, ma si mise a piovere e ci riparammo sotto una tettoia dove ci trattenne a chiacchierare don Rodolfo: ci raccontò che il nome Pellaloco significa luogo paludoso e che invece la nostra frazione di Fienili apparteneva in precedenza a San Bovo: lì c’era una chiesina in costruzione con all’interno marmi pregiati che, in seguito, all’epoca di Napoleone, furono portati e collocati nella chiesa di Malavicina. Sapeva molte cose. Don Rodolfo non era benvisto da tutti i sacerdoti della zona; ricordo infatti che don Luigi Bonvini di Castiglione Mantovano diceva: “I santi devono fare i miracoli”. Quest’ultimo desiderava forse ridurre la sua fama, ma senza dubbio don Rodolfo era un carismatico e un taumaturgo.


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