Guarigioni ‘miracolose’



Giovanni Costa                               


Roverbella (MN)


Avevo quattro o cinque anni quando un giorno ero seduto sulla sponda del torrente che passa qui vicino a Pellaloco con mio cugino di qualche anno più grande di me. Era domenica ed era ora di Messa alla quale partecipava mio zio Aldo. Mentre giocavamo con l’acqua al torrente, io caddi dentro e, mio cugino, corse subito a chiamare aiuto. I miei genitori (Aurelio il nome di mio padre), appresa la notizia, entrarono in chiesa e interruppero la Messa per chiedere aiuto a don Rodolfo. Mentre don Rodolfo andò prepararsi per uscire, mio zio Aldo, seguito dai miei genitori, corse al fiume e si gettò in acqua per cercarmi; infatti la corrente era forte e l’acqua era sporca di erba così che non permetteva di vedere sotto. Mio zio poi mi trovò e mi distesero vicino alla sponda credendomi morto. Nel mentre arrivò anche don Rodolfo, che invitò a continuare la respirazione e i massaggi pettorali dicendo: “Giovanni non è ancora andato”. I parenti credettero nelle sue parole e continuarono, mentre lo stesso don Rodolfo si appartò a pregare. Dopo addirittura qualche ora mi risvegliai. I miei parenti per il miracolo ringraziarono don Rodolfo, ma lui rispose loro che era merito di Santa Rita. Così portammo un ex voto con le mie iniziali alla chiesa di Pellaloco ed è ancora là per la grazia ricevuta.


Federico Mutti                                 


Castiglione delle Stiviere (MN) 


Era l’estate dell’anno 1949 o 1950 e mia mamma Regina Breda detta Gina stava poco bene, aveva la febbre a 38 da qualche giorno. Così chiamammo il dottor Ugo Lusetti, il dottore di Castiglione delle Stiviere che però poco dopo andò in ferie e ci affidò al Professor Lanino che in quanto professore, speravamo fosse più valido. Il professore voleva dare a mia madre pastiglie per il tifo anche se sapeva che non era tifo il suo. Non aveva saputo quindi dare una precisa diagnosi. Una domenica (mia mamma aveva ormai febbre da un mese) mi recai da mia zia Angelina a 7 o 8 km da casa mia perché anche lei stava poco bene. Le raccontai di mia madre e lei mi consigliò di andare a Pellaloco perché c’era lì in un parroco di nome don Rodolfo Ridolfi che aveva guarito una sua amica e vicina di Castiglione. Così presi su la mia moto, molto lussuosa all’epoca (un ‘Guzzino’ regalatomi da mio padre) e mi diressi a Pellaloco attraversando le strade sterrate che dividono Castiglione da quel posto a me sconosciuto. C’era un cartello che fortunatamente indicava la strada con una freccia. Arrivato alla chiesa all’ora dei vesperi, chiesi a delle signore la modalità migliore per parlare con il prete. Queste mi dissero di aspettare in sagrestia dove c’erano già dieci persone ad attenderlo. Così le ricevette tutte una ad una in una sala della chiesa. Io ero l’ultimo. Gli dissi: “Don Rodolfo lei mi deve aiutare”. Don Rodolfo era molto accomodante, per mettermi a mio agio mi fece parlare un po’ e si stupì che venivo da Castiglione delle Stiviere, il suo paese natale. Gli raccontai che mia madre aveva la febbre da più di un mese e mi disse: “Martedì tua mamma si alza”. Così, fiducioso, tornai verso casa. Passai prima dalla morosa, che in realtà mi aspettava nel pomeriggio, per scusarmi e poi verso le 23 tornai a casa e raccontai a mia mamma dell’incontro con don Rodolfo e di ciò che mi aveva detto. Mia mamma provò la febbre e già le era calata. Il mattino dopo (lunedì) la febbre non c’era più, ma io le dissi che a mio parere qualche linea le sarebbe tornata e di stare a riposo. Invece lunedì pomeriggio mia mamma era in piedi senza più quella febbre che la tormentava da circa un mese. Portammo a Pellaloco un cuore d’argento in ringraziamento a Santa Rita (così ci disse di fare don Rodolfo) e da quell’anno ogni anno, il 22 maggio, alla festa della Santa, andiamo a renderle omaggio e gratitudine per la grazia ricevuta.

                 


Giuliana Zini  

Goito (MN)



Da Castiglione andavo a Pellaloco in bicicletta da don Rodolfo a sollecitarlo perché non c’era il telefono e le telefonate per lui arrivavano nella nostra attività Trattoria Zini Boninsegna Telefono Telegrammi. Lo cercavano in continuazione. Veniva da noi per le chiamate oppure per consegnare telegrammi con il fonotel. Era sempre buono, paziente, sorridente, ascoltava e riceveva tutti in chiesa. Benediva gli indumenti che gli portavano che appartenevano ad ammalati. Pregava senza enfasi e senza vana gloria. Pregava e leggeva sempre, aveva sempre un libro in mano. Era mite, paziente, orante, dava buone parole e tante benedizioni. Ospitava i mendicanti e li rifocillava. Era una persona seria e non gozzovigliava. Dopo le sue preghiere le persone stavano meglio; chi veniva qui era accontentato nello spirito e anche per le cose di tutti i giorni. Don Rodolfo non ha mai voluto un centesimo, diceva di lasciare le offerte a Santa Rita. Era sempre pieno di gente e lui cercava di accontentare tutti.

Negli anni ’50 mia sorella finì in sanatorio e fu guarita perché don Rodolfo le aveva toccato la maglietta.
Il 29 gennaio 1985, all’età di 40 anni, mentre telefonavo fui colpita da emorragia celebrale. In ospedale per 3 mesi ho sognato la mamma di mio marito, molto devota e amica di don Rodolfo, vestita di bianco che mi riportava a casa (in Corte Bardellazza) per via aerea. Ma la porta era chiusa perché non c’era nessuno in casa e nonostante la madre di mio marito (non la voglio chiamare suocera perché ha connotazione negativa) mi dicesse di entrare io non lo facevo e non rispondevo. Allora quando lei non era più dietro di me perché tornata alla tomba di famiglia, io la raggiungevo e gli altri defunti dicevano: “Ermelinda, Giuliana è venuta qui e ti ha seguito”. Lei diceva: “Ma bambina perché sei qui? Ti riporto indietro”. E nei sogni era un continuo spostamento dalla casa con la porta chiusa al cimitero. Dopo tre mesi, in un altro sogno, il mio giardino di casa era pieno di fiori, di giunchiglie, rose e tulipani e guardando i fiori mi misi a cantare a squarciagola sia canzoni popolari che religiose. Nella corsia dell’ospedale tutti si spaventarono e io continuavo a cantare. Il dottore disse a tutti di lasciarmi fare. Dopo, accorgendomi di essere in ospedale, scoppiai in lacrime. Passò un anno, prima di riprendere la mia vita di sempre. Poi nel 1986 grazie ad un’amica incontrai suor Pura, ora sepolta a Campofontana, che mi assicurò di non avere più niente. Poi la suora mi apparse in sogno dicendomi: “Continua così che va bene, prega e canta come hai sempre fatto”.

Guido Morari

Valeggio sul Mincio (VR)

Avevano fatto una fattura a mia nonna e don Rodolfo l’ha liberata. La madre di mia nonna aveva un altro figlio che soffriva all’intestino e che è guarito grazie all’intervento del sacerdote. Mia moglie Libera è andata dal veterinario sotto suggerimento di don Rodolfo poiché aveva una cavallina che soffriva fortemente alla vescica.

Maria Rigoni

Roverbella (MN)

La chiesa di San Rocco è sempre stato un luogo che ha accolto figure carismatiche ed esemplari. Tre fascisti volevano ad esempio picchiare don Giuseppe Viviani, il predecessore di don Rodolfo; lui li ha maledetti e sono morti: uno si è sparato, l’altro impiccato, l’altro buttato sotto il treno.
Don Rodolfo è stato il più carismatico di tutti: curava bambini da poliomieliti, oppure consigliava le madri se mangiavano male ed elargiva a tutti grazie tempestive. Mi ricordo quando avevo 10 anni e mio fratello 15 e siamo andati in bicicletta a Pellaloco per chiedere di far liberare mio padre. In quel periodo stavano ristrutturando la chiesa degli artisti di Venezia che hanno ricevuto una grazia. Don Rodolfo aveva 48 anni. Ci promise che mio padre sarebbe tornato a casa e così fu.

Nostra madre più tardi era inferma e dopo la menopausa, non aveva più né caldo né freddo. É stata guarita da don Rodolfo tornando a camminare.
Anche mio fratello Cristiano aveva avuto un forte ascesso in gola ed è stato guarito.


Luisa Ghidini                              


Lumezzane (BS)


Sono nata nel 1956. Mia mamma ha avuto 8 figli di cui io sono l'ultima e mi raccontava sempre che don Rodolfo aveva il dono della veggenza e prevedeva il futuro. Un giorno era andata a trovarlo con sua sorella, quindi mia zia, ed avevano in braccio due bambine, mia sorella (nata nell’aprile del 1959) e mia cugina. Quando entrarono nel suo studio a Pellaloco lui esclamò: “Che profumo di innocenza!”. Al che mia mamma, che aveva già 7 figli chiese il perché di tale affermazione. Lui rispose: “Avrai una bambina”. Infatti nove mesi dopo nascevo io e don Rodolfo sapeva quindi che mia madre era incinta ancor prima che lo sapesse lei.



Renata Bellesini   

               

Pizzoletta di Villafranca (VR)

Nel 1951, allora ventitreenne, dopo la nascita di mia figlia con parto cesareo, fui affetta da esaurimento post partum che mi portò a non parlare quasi più. Mia mamma e mia sorella Palmina, detta Mora, si recarono in bici da don Rodolfo il quale disse loro: “State tranquille, sicuramente Santa Rita risolverà la situazione”. A mio marito che si trovava a Milano per lavoro, un ginecologo fece conoscere un medico di “Villa Turro” che volle operarmi a livello lombare. Egli riscontrò che il mio corpo era carente di una sostanza che, una volta assunta permise di curarmi e quindi di guarire dal mio malessere. Tornai a ringraziare don Rodolfo e Santa Rita e continuai, come ogni anno, a recarmi a Pellaloco il 22 maggio per portare a benedire le rose del mio giardino.



Don Roberto Pedroni               


Roverbella (MN)

(Parroco di Marmirolo, Marengo, Pozzolo, Soave)

Miracolato è una parola un po’ grossa perché va sempre un po’ interpretato l’evento che mi è stato raccontato da mia mamma che di certo non mi prende in giro. Un po’ però posso pensare che possa aver enfatizzato e la memoria nel tempo possa aver ingigantito le cose. Più di una volta ho cercato di far qualche domanda in più; ogni tanto infatti me la faccio riraccontare per vedere se cambia qualcosa, ma sostanzialmente la storia rimane sempre quella. Di fatto quando ero piccolo (io sono nato il 28 marzo 1961 a Mantova), nel mese di aprile quando avevo pochi giorni di vita, i medici dicevano non si sa perché che non sarei sopravvissuto. Le persone cercavano di consolare mia mamma la quale tornata a casa ha raccontato tutto a mio padre che ha deciso di venire a Pellaloco. Credo che mia mamma abbia preso su un vestitino (forse una volta era un po’ così) e siano venuti a Pellaloco la mattina. Al mattino c’era già della gente che andava da don Rodolfo con varie richieste. Faccio notate che mio padre non era particolarmente credente, ma la situazione di mia mamma l’avrà smosso per andare da lui. Poi ero un maschietto quindi a me ci teneva particolarmente. Mia mamma è andata dietro l’altare e senza dir nulla don Rodolfo li ha guardati, ha sorriso, e a entrambi ha detto: “Vai pure a casa che tuo figlio sta bene”. Lei è tornata a Mantova e si è recata all’ospedale dove l’aspettavano i medici che le han detto: “Sa signora che suo figlio sta bene? Venga, venga che suo figlio sta bene!”. E sono qui, prete. É mia mamma che mi ha detto di questo fatto quindi ci credo. Un giro a Pellaloco ogni tanto lo faccio, l’ho fatto anche negli anni del seminario (ho studiato a Mantova) e stranamente da poco mi hanno mandato qua a Roverbella come sacerdote. Ho anche il calice di don Rodolfo, donatomi da don Maurizio Luzzara, attuale parroco di Pellaloco. Dovrò ancora presiedere la Messa a Pellaloco e quando presiederò, celebrerò certamente con quel calice. A Sermide c’era un parroco anziano e gli chiedevo spesso di don Rodolfo e mi diceva col suo gergo colorito: “L’era matt”. Doveva essere uno di quei tipi che erano fuori dalle righe. Anche don Roberto Fornari, predecessore di don Rodolfo, era carismatico anche se più intellettuale diciamo. E anche se morto da parecchio, recentemente il ricordo della gente va ancora a don Rodolfo.


Nadia

Sono una signora di 57 anni e mi chiamo Nadia. Sono nata a Verona e ci sono stata per tanti anni. Conosco la Parrocchia di Pellaloco grazie a mio padre. Sin da quando ero bambina ho spesso sentito parlare di un fatto che ora racconterò perché riguarda proprio don Rodolfo Ridolfi. Ho una sorella di 55 anni e il fatto risale a quando lei è nata, quindi nel 1957. Aveva pochi mesi quando ha iniziato a non dormire più sia di giorno che la notte, dormiva solo se era in braccio, come la mettevano nella culla o nel lettone incominciava a urlare come se fosse in preda a chissà quali dolori. I miei genitori pensavano a capricci e allora la lasciavano strillare, ma la mamma mi racconta che la piccola diventava persino scura in volto da tanto che piangeva. La fecero visitare da più di un medico, ma non risultava avere nulla di anomalo. Questa situazione è andata avanti per parecchi giorni, non ricordo bene quanti, ma so che una notte la mamma in preda allo sfinimento la prese e la buttò in fondo al letto, per fortuna mia sorella si fermò senza cadere, trattenuta dalla sponda di legno. Ovviamente mio padre si arrabbiò moltissimo, ma la situazione era seria. Capì il gesto insano fatto di mia madre e che bisognava fare qualcosa. Mio padre aveva sentito parlare di un parroco, appunto a Pellaloco, che aveva aiutato diverse persone a risolvere i loro problemi e quindi chiese informazioni: qualcuno gli disse di andare a trovare questo prete, magari portando con sé qualcosa della bambina. Andò con due camicine di mia sorella, gli disse come stavano le cose e il parroco prendendo in mano le camicine e poi battendogli una mano sulla spalla disse a mio padre: “Stai tranquillo. Vai a casa che tua figlia sta bene e non ha nulla”.

Come mia madre mise una camicia a mia sorella questa cominciò a dormire e lo fece per tre giorni e tre notti; la svegliavano solo per darle il latte, ma lei mangiava con gli occhi chiusi e non si svegliava. Avevano perfino paura che non si svegliasse più, invece poi le cose cambiarono e si comportò come qualsiasi neonato, prese i ritmi giusti e di notte si mise a dormire sia nella culla che nel letto dei miei genitori. Mamma e papà non sapevano cosa pensare, ma di certo l’aiuto di don Rodolfo è stato determinante. Preferisco rimanere in anonimato, ma assicuro che questa storia è vera: non avrei motivo di mentire, prova ne è che sono venuta a sapere di questa iniziativa per ricordare questo parroco leggendo il foglietto affisso alla bacheca sul muro esterno della chiesa. Non so se sono credente, sicuramente non praticante perché non vado spesso in chiesa, ma da qualche anno quando ho dei momenti difficili, penso sempre a quello che ha fatto mio padre e chiedo il suo aiuto, allora mi sento, ho voglia di pregare restando sola, vengo qualche momento in questa Parrocchia che ovviamente non è la mia, ma voglio venire nel luogo dove tanti anni prima è venuto anche mio padre e questo mi fa sentire bene. Ho voluto lasciare questa testimonianza anche perché sono certa che se papà fosse ancora vivo l’avrebbe sicuramente data lui.


Liliana Tosi Schivi                   


Mozzecane (VR)

C’era una infestazione dei topi, durante il suo sacerdozio, e lui riuscì a metterne fine. Inoltre guarì moltissimi bambini che avevano l’acetone, male molto frequente allora. Infine ricordo che c’era una donna che doveva battezzare il figlio, non ancora sposata. Gli altri preti non l’avrebbero battezzato se non alle cinque del mattino, quando nessuno poteva vederli. Si recò allora da don Rodolfo che decise di battezzarlo alle undici, davanti agli occhi di tutti per mostrare che l’amore di Dio è grande.





Rita Faccioli

Mozzecane (VR)

Mia suocera ha avuto una vicissitudine con la nipote preferita che non dormiva mai; don Rodolfo allora le disse che, per fare guarire la piccola, avrebbe dovuto accontentare uno sconosciuto che un giorno avrebbe bussato alla loro porta con una richiesta. Infatti un giorno un uomo si presentò alla porta per chiedere alla famiglia un cavolo del loro giardino. All’epoca un cavolo valeva molto e quello era bello grosso. Il nonno insistette per dare all’uomo ciò che chiedeva. Da quel giorno la bambina dormì sempre e si seppe da don Rodolfo che l’uomo che si era presentato era il diavolo in persona.

Una mia amica aveva poi la fobia che la madre, molto più anziana di quella delle sue coetanee, morisse. Veniva infatti derisa per questa questione da tutte le sue compagne. Don Rodolfo le mise una mano sulla testa dicendole che la madre sarebbe vissuta fino a 97 anni e così fu. Infine la esortò a non avere paura se, una volta congedatasi, avesse visto qualche strana figura. La ragazza non capì subito, ma disse poi di aver visto, venendo via dalla chiesa di Pellaloco, il diavolo vestito di rosso e con la coda saltare la staccionata e allontanarsi. Da quel giorno la ragazza non ebbe più nessuna paura di perdere la madre prematuramente.

E infine arrivo io che mi chiamo Rita proprio perché dopo tante preghiere alla Santa omonima, sono nata sana e non offesa come i miei fratelli e sorelle nati prima di me. Il rischio che anche io nascessi offesa era infatti altissimo.
Sono molto devota a Santa Rita e in generale. Mi capita qui nella chiesa di Santa Rita un fatto strano. Infatti solo qui riesco a leggere le letture della Messa. Tutto si fa chiaro e nitido, mentre invece nelle altre parrocchie ho provato a leggere, ma niente, non distinguo le parole.

Un altro fatto strano mi è accaduto a Subiaco, monastero di San Benedetto. Una notte mi sono fermata a dormire lì perché ci sono delle celle che ospitano i pellegrini. Là in una delle celle dove dormono i monaci ho visto dormire una suora. La mattina seguente ho chiesto ragione, ho chiesto quale suora soggiornasse lì, ma la

risposta è stata che nessuna suora vi dormiva. Ero a quel punto certa che avessi visto una santa nella cella, forse la stessa Santa Rita cui mi affido sempre.
La mia devozione mi anche ha portato ad avere un’esperienza di estasi a Fatima e a Medjugorje un fatto straordinario è successo a mio marito: toccando la statua si è accorto che questa era bagnata sul retro come se dagli occhi della Madonna fossero cadute delle lacrime.



Mariarosa Cordioli Bertasi

Mozzecane (VR)

All' età di un anno e mezzo mi sono ammalata d' influenza. Con le cure la febbre non si abbassava, allora il medico, dopo tanti tentativi, decise per la penicillina che era da poco in commercio, ma la febbre non passava comunque. Mia madre, molto preoccupata perché due anni e mezzo prima aveva perso il primo figlio di cinque mesi, mandò sua sorella e la cugina da don Rodolfo con delle canottierine mie da benedire. Poiché don Rodolfo conosceva le due donne, appena le vide disse: “Cosa avete aspettato a venire? Dovevate dare la penicillina per prima ad una bambina piccola?” Prese i panni e si ritirò per benedirli. Al ritorno era tutto sudato e le mandò a casa raccomandando di farmeli indossare subito. Dopo averli indossati, la febbre in poco tempo si abbassò e in una giornata sparì. Dopo un anno, ero seduta in casa, per terra e stavo giocando; era un pomeriggio; con me c'erano mia madre e una signora che frequentava la mia casa che ricordo ancora molto bene com'era vestita. La signora ad un certo punto mi disse che gli zingari avrebbero portato via mia madre. Da quel momento mi aggrappai alla gonna di mia mamma e non la abbandonavo mai. Ricordo bene il giorno in cui la mamma mi disse: “Andiamo da don Rodolfo”. Siamo partite nel pomeriggio, c' era la neve ai bordi della strada, mi mise sul seggiolino della bicicletta e, dopo avermi coperta bene, siamo partite. Come don Rodolfo mi vide, ci venne incontro e mi disse: “Mariarosa sei ritornata a capo di prima?”. Mi prese per mano e mi fece andare con lui. Io non ricordo cosa sia successo, ma quando ritornai da mia madre non avevo più paura di perderla. A sei anni feci la prima comunione. Al mio paese che è Mozzecane era abitudine andare a Pellaloco da Santa Rita col nostro parroco. Appena arrivata, don Rodolfo mi vide e mi venne incontro. Mi trovavo dove c'è la fontanella assieme agli altri bambini. Don Rodolfo, con la mano sinistra mi diede dei colpetti sulla testa e mi chiese se anch'io avessi ricevuto la Comunione e quando gli dissi di sì mi disse: “Mariarosa da questo momento tu non hai più bisogno di me”. E così è stato. Ho tanta venerazione per don Rodolfo!



Lisetta Tabarelli Zuccotto                      


Pellaloco (MN)

Mi sono sposata nel 1955. Conoscevo don Rodolfo per mia mamma che gli portò una mia canottiera da far benedire quando avevo circa dieci anni perché mi vedeva insofferente e aveva già avuto esperienze negative con mia sorella. A Mozzecane c’era infatti un mediatore che faceva il malocchio e un giorno lo fece a mia sorella quando ancora era in fasce tanto che non voleva più il latte da mia mamma. Così fu costretta a rivolgersi a un sacerdote che svuotò sia lei che mia sorella. Don Rodolfo era molto carismatico, venivano interi pullman per lui. Era amico dei miei suoceri e di mio marito, andava con lui a pesca. Raccontava che ammalato di polmone per pleurite, promise di farsi prete in caso di guarigione. Non mantenne subito la promessa e si riammalò; a quel punto si persuase che la sua vocazione era il sacerdozio. Era molto povero all’inizio, aveva perfino bruciato le sedie della chiesa e mia suocera gli portava da mangiare. Era di casa. Mi sono sposata a Mozzecane e don Rodolfo ci ha comunque preparato un banchetto per festeggiarci a Pellaloco. Persi una bambina e dopo due anni rimasi di nuovo incinta. Il travaglio iniziò giovedì e domenica ancora il nascituro non veniva alla luce. Mio marito si recava spesso da don Rodolfo per conforto. Prima don Rodolfo gli disse di averlo ricordato nelle funzioni, in seguito così parlò: “Se è maschio cosa fai?”. In più di 30 anni infatti nessuno aveva mai dato il suo nome. Poi gli disse: “Vai a casa che tuo figlio è nato ed è maschio”. E mio marito: “Non può essere, ci sono appena stato a casa e ancora non è nato”. E don Rodolfo: “Vai a casa, ti dico, è nato ed è maschio”. E ancora Ulderico: “Se è così lo chiamo Rodolfo”. E don Rodolfo: “Guarda che l’hai detto!”. La promessa fu mantenuta e gli fu dato nome di Rodolfo. Un giorno don Rodolfo ci invitò in chiesa e regalò a mio figlio una catenina d’oro.



Anonima               


          

Mio figlio non dormiva mai ed era una vera pena sia per noi che per lui. Così mi sono recata da don Rodolfo che mi ha detto, se pur povera, di allontanarmi dalla casa in cui abitavo. Mi sono trasferita quindi in un’altra con ragnatele e il nostro tavolo da cucina era addirittura una scala. Dalla prima notte che abbiamo messo piede lì mio figlio ha dormito ogni notte come un sasso. Grazie don Ridolfi.






Anna Agricola

Una signora di Volta Mantovana (frazione Ferri) aveva portato a don Rodolfo un centrino perché aveva ricevuto una grazia. Lei aveva due figli maschi e uno di questi non parlava. Era muto. Si è quindi recata da don Rodolfo che le ha detto: “Non preoccuparti quando vai a casa chiama tuo figlio e vedrai che lui ti risponderà”. Tornata a casa il figlio l’ha chiamata dicendole: “Mamma, mamma!”. E così era guarito, aveva riacquistato la parola.

Luigi Casali

Gazoldo degli Ippoliti (MN)

Nel marzo o aprile del ’54 mia sorella era malata: aveva un esaurimento nervoso. Così ci siamo rivolti a don Rodolfo che ha detto: “Andate a casa e tutto andrà bene”. Così fu.

Begnoni Rosa

Mozzecane (VR)

Quando è rimasta incinta mia mamma stava male. Mio padre e mio zio Vittore (che aveva fatto il militare con don Rodolfo) si sono recati da quest’ultimo, nonostante la titubanza di mia madre. Le avevano detto che avrebbe dovuto sottoporsi a dei raggi, ma don Rodolfo disse di non farli e così fu e tutto andò bene. Conosco anche un episodio legato a mia cugina Ida Begnoni: da piccola non mangiava a tal punto che questo la portò al collasso. Così presero la sua camicina e il biberon e la portarono da don Rodolfo. Lui li benedisse e lei cominciò a mangiare. Anche con mio marito che era originario di San Giorgio di Mantova si comportarono allo stesso modo: era malato di gastroenterite e hanno portato la sua camicina a don Rodolfo. Lui l’ha benedetta e da quel giorno non ha più avuto niente.

Maria Vittoria Didini

A 4/5 anni avevo la tachicardia; un giorno è venuto don Rodolfo a casa; mi ha messo a sedere sulle sue ginocchia e mi faceva dei segni di croce sul cuore, accompagnando questi gesti con delle preghiere. Da quel giorno non ho più avuto nulla.

Silvia Conterato

Colognola ai Colli (VR)

Desidero far conoscere un episodio legato alla mia famiglia che ha coinvolto don Rodolfo Ridolfi. Negli anni '50 mia mamma Emilia, soffriva di ripetuti episodi di pleurite, anche molto seri. Durante uno di questi episodi, la mamma si era aggravata e il medico condotto doveva quotidianamente toglierle l'acqua dai polmoni con una siringa. La situazione ben presto precipitò: il medico disse al marito che non c'erano più speranze di salvarla. Il marito, disperato, si recò da don Rodolfo Ridolfi, suo grande amico e padre spirituale, da cui si recava tutta la famiglia regolarmente per assistere alla messa domenicale. Don Rodolfo, dopo aver ascoltato le parole disperate del mio papà, lo rassicurò dicendogli di tornare a casa fiducioso e sereno perché Emilia si sarebbe salvata e il medico, il giorno seguente, non avrebbe trovato neanche una goccia d'acqua nei suoi polmoni. Durante quella notte fu necessario cambiare due materassi perché la mamma espulse tantissima acqua dal suo organismo. Il mattino successivo il medico venne per visitare la paziente, che lui aveva data per persa... Quando, dopo ripetuti tentativi di estrarre l'acqua, vide che non ne usciva neanche una goccia, disse: "Emilia, sei stata miracolata!" La mamma non si ammalò più di pleurite ed è vissuta fino a cento anni!!! Don Rodolfo aveva compiuto il miracolo! Da allora tutta la nostra famiglia, ancora di più, si legò al santo sacerdote e tuttora noi tutti nutriamo una grande devozione nei suoi confronti.


Tiberio Cavallini                      


Corbetta (MI)

Nel 1959 avevo 4 anni e all’epoca mia mamma era disperata perché non tenevo giù niente. Un giorno mia zia e mio padre decisero di portarmi da don Rodolfo. Ricordo benissimo che, arrivati a Pellaloco, non lo trovammo: era forse in un’altra parrocchia. Siamo stati ad aspettarlo in Chiesa e lì ricordo che c’era la teca con dentro il Cristo. Alle 12 finalmente è arrivato: non ricordo il suo viso, ma ricordo che ad un certo punto, sulle scale di casa sua, è sceso verso di me, mi ha toccato la gola e mi ha detto: “Vai a casa che adesso mangerai”. Quando sono tornato a casa ricordo bene che ho mangiato un grappolo di uva bianca. Sono tornato a Pellaloco solamente due anni fa per un figlio che soffre di esaurimento nervoso: spero che don Rodolfo mi assista nuovamente. Anche mia madre era stata miracolata da lui, nel 1958. Non camminava più: aveva le gambe bloccate. Mio padre, di Castel D’ario, l’aveva portata qui a Pellaloco. Don Rodolfo le ha dato la benedizione e le ha detto: “Vedrai che tornerai a camminare”. Il giorno dopo era già riuscita ad andare dalla casa alla stalla a prendere il latte che suo papà aveva munto per lei.


Gabriella Bertasini

Mozzecane (VR)

Appena nata, mia mamma (di 23 anni nel 1951) ha avuto un esaurimento dopo il parto. Ero nella casa dei nonni paterni. Un giorno mia mamma e mia zia hanno deciso di recarsi in bici da don Rodolfo il quale ha detto: “Andate tranquille perché sicuramente Santa Rita farà il miracolo”. Così è stato e mia mamma è guarita da quel brutto esaurimento.


Lucia Rizzotti

Pellaloco (MN)

Tutti coloro che si recavano da lui malati guarivano. Due corriere arrivavano per fargli visita da Verona. Ho visto una ragazzina guarita.



Marta Arcanà                        


Milano (MI)

Il 4 giugno 2013 mio padre Carlo, in seguito a forte dimagrimento, era andato a fare una lastra al polmone e qui era emersa la presenza di una macchia di 8 cm di diametro. Da sempre accanito fumatore, era prevedibile che prima o dopo i suoi polmoni non avrebbero retto. Nella speranza si trattasse solo di un’infiammazione tubercolotica, l’8 giugno aveva eseguito il “Quantiferon Test” per rilevare la presenza o meno di tubercolosi e il 12 giugno io avevo iniziato ad intuire che in questa storia non sarei stata sola, ma don Rodolfo mi (e ci) avrebbe accompagnato e aiutato. Il 13 giugno ci siamo poi recati al Policlinico di Milano a parlare con il chirurgo toracico Paolo Mendogni che aveva recitato la particolare frase: “Dobbiamo dare un nome e un cognome a questa cosa”. E il 14 giugno, all’Ospedale Sacco, l’oncologa Anna Rita Gambaro recitava ancora la stessa particolare frase: “Dobbiamo dare un nome e un cognome a questa cosa”.  Il 18 giugno ricevevamo la notizia che il “Quantiferon Test” era positivo e il 26 giugno (giorno dedicato a San Rodolfo) arrivava dal Policlinico, a sostegno di questo risultato, l’ulteriore notizia che il tessuto prelevato qualche giorno prima, tramite agoaspirazione, rilevava “cellule necrotico infiammatorie” e non tumorali. Fino a quel momento quindi, tutto lasciava presagire che si trattasse di una tubercolosi e non di un tumore poiché dall’alto probabilmente ci stavano aiutando docilmente a prepararci a qualcosa di più impegnativo. Il 28 giugno un’altra oncologa del Policlinico, la dottoressa Ilaria Righi, ci diceva: “Siete nel 10% dei casi in cui esce un risultato del genere”. Ripeteva ancora la particolare frase: “Dobbiamo dare un nome e cognome a questa cosa”. Il 24 luglio, sempre lei ribadiva: “In 2 casi su 50 (4%) potrebbe riscontrarsi una tubercolosi”; infatti era molto propensa per l’ipotesi tumorale. Il pomeriggio stesso poi, mia mamma, aprendo il pc, trovò una particolare frase che non si è mai capito bene come si fosse digitata: “Nel ... don rodolfo decide” e così, ancora una volta, arrivava la conferma che in questo calvario non eravamo soli. Qualche giorno dopo, in seguito ad una biopsia e un esame intraoperatorio più specifico, la notizia: adenocarcinoma nel polmone superiore destro. Nel frattempo però, scrupolosamente, avevamo chiesto di analizzare i vetrini di tessuto prelevato, anche all’Ospedale Niguarda per la ricerca di tubercolosi (TBC) e al telefono, per conoscere i risultati, il dottore chiamò mio papà “Rodolfo Arcanà”. Un caso? Ovviamente no. Don Rodolfo continuava ad assicurarci che era con noi. Ad agosto mio padre iniziò i cicli di chemioterapia, ma al nostro amico Gerardo Fumagalli, conosciuto anni prima a Pellaloco, venne un’idea: far tenere dei petali di rose benedette alla festa di Santa Rita sulla schiena di mio papà. Così mio padre, affidandosi come un bambino nelle nostre mani e in quelle del Signore si fece fare: in corrispondenza della massa, dietro la spalla destra, attaccammo con dello scotch di carta ogni giorno due piccoli petali di Santa Rita e chiedemmo a lei e a don Rodolfo l’intercessione per la guarigione di mio papà. Il 23 settembre (giorno di San Pio di Pietrelcina, collaboratore di don Rodolfo come si documenta dalle testimonianze) la grande notizia che ci fece piangere, gioire e abbracciare forte: la macchia, da come appariva nella lastra numero 34, si era ristretta ed era quindi possibile l’operazione. Desidero precisare che in quei mesi il numero della lastra tornava in continuazione. Così come il ‘22’ è il numero associato a Santa Rita, il ‘34’ fin dall’inizio di questa vicenda, vedendolo ricorrere più e più volte, ho intuito che era associabile a don Rodolfo. Anche il letto d’ospedale toccatogli in sorte dal 28 gennaio al 6 febbraio 2014 (l’operazione è avvenuta il 29 gennaio) era il numero ‘304’. Oggi mio papà, dopo l’operazione e alcuni trattamenti di radioterapia, sta bene. Sono passati molti anni e ringrazio ancora don Rodolfo e Santa Rita per aver contribuito nella riuscita di questo grande miracolo che, senza ombra di dubbio, è stato opera del Cielo.


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