«Sono sicuro di aver visto don Rodolfo». «Impossibile, ti sbagli. Non poteva essere lì». Eppure don Rodolfo c’era per davvero...
Don Luciano Giacomuzzi
Vicenza (VI)
Il mio Progetto sostanzialmente consisteva nel formare una Famiglia Associazione di sacerdoti disponibili a recarsi in altre diocesi d’Italia o nei Paesi dell’America Latina e dell’Africa. Giuridicamente mi interessava che non divenisse una Famiglia Religiosa e che i sacerdoti avessero una coscienza e corresponsabilità ecclesiale. Avrebbe potuto chiamarsi Interdiocesi senza territorio, oppure Associazione di servizio attraverso la quale i Vescovi di origine concedevano ai propri sacerdoti che lo chiedevano e per un tempo concordato di lavorare in diocesi bisognose. Insieme i sacerdoti di questa Associazione, più sensibili al problema di una più equa distribuzione del clero, si sarebbero impegnati a promuovere più numerose e sante vocazioni, raccogliendo e salvando anche quelle che il Seminario non ben curava o trascurava.
Monsignor Zinato prima mi aveva dato il permesso di iniziare l’attività per le vocazioni e don Rodolfo mi aveva incoraggiato a far presto. Ma dopo due o tre mesi mi ha chiesto di sospendere e di avere pazienza perché alcuni della Curia e del Seminario si erano opposti. Avevo scritto a Padre Pio per avere un suo consiglio. Mi rispose, da quanto ricordo, che avrebbe pregato e che ascoltassi il Padre Spirituale don Rodolfo Ridolfi. Verso il 10 settembre del 1961 mi recai da lui. Ricordo di essere andato in moto o motorino, il tempo minacciava di piovere.
Le donne che lavavano alla fontana mi sconsigliarono di bussare perché troppo malato, non riceveva più nessuno (infatti morì poco dopo). Spinto dal desiderio entrai in chiesa per suonare alla porta della canonica, con la fiducia che qualcosa sarebbe successo. Vidi uno, non lo distinguevo bene se fosse il parroco o un frate, a lato destro della balaustra, dove si passa per andare alla canonica. Sembrava stesse lì in piedi ad aspettarmi. Pensai che non poteva essere che lui, perché non conoscevo ancora bene la fisionomia del parroco. Mi avvicino, cerco di farmi conoscere, ma mi interrompe subito, come sapesse già tutto quello che doveva dirmi. “Ascoltami bene: metti nel cassetto il tuo progetto vocazionale. Ora devi pensare ad affrontare le sofferenze che incontrerai. Ti calunnieranno, ti accuseranno, ti denunceranno, sarai tradito dai tuoi stessi confratelli. Stai attento, stai attento perché ti vorranno rovinare, distruggere. Avrai da soffrire molto”.
Non vedevo alcuna nuvoletta in cielo che preannunciasse simile tempesta e non mi preoccupavo del soffrire, perché mi sentivo impegnato a fare tutta la volontà di Dio, con il desiderio di arrivare alla fine per tirar fuori dal cassetto il progetto vocazionale. Chiesi: “Quanto tempo dovrà trascorrere prima di riprendere dal cassetto il Progetto a favore delle vocazioni? Dieci, venti, trent’anni?”. Mi rispose di sì con un cenno. Non mi pesavano le sofferenze, quasi mi sentivo orgoglioso di soffrire per il Signore e per tanta causa, per la fecondità vocazionale. La strada offerta la ritenevo pure un buon segno per credere che l’Opera veniva da Dio e non dalla mia fantasia o suggestione del demonio. Accettai la profezia come sfida per combattere la buona battaglia sulla strada della volontà di Dio. La sete più profonda del mio cuore era di compiere nella vita tutta e solo la volontà di Dio, qualunque fosse il sacrificio! Nessuna difficoltà mi avrebbe fatto paura o fermato, nessun consiglio, per quanto santo mi avrebbe fuorviato. Ero disposto quindi di attendere anche trent’anni per compiere fino in fondo la volontà di Dio. In quel momento il pensiero, il desiderio di sapere che cosa dovevo fare, mi aveva allontanato alcuni dubbi sulla persona: sembrava un frate, il linguaggio mi era poco comprensibile. Sembrava che le parole mi entrassero per la gola ed allora ne comprendevo il senso. Negli incontri precedenti non avevo trovato questa difficoltà. Ma in quel momento non mi soffermai su questi dubbi: ho pensato che non poteva essere che lui in chiesa. Gli ricordai che sarei divenuto vecchio (65-70 anni) per interessarmi delle vocazioni, per lavorare fra ragazzi e giovani. Mi disse: “Dalle tue parti, fra Brescia e Verona un prete a 72 anni fondò una Congregazione religiosa. Non ti preoccupare. Pensai chi poteva essere, cercai di chiedere, ma non ebbi una risposta, una conferma. Conobbi che quel sacerdote si chiamava Lodovico Pavoni da un articolo della “Voce dei Berici” del 10 febbraio del 2002 in occasione della beatificazione. Corrispondeva in tutto a quanto mi aveva detto: era veramente “dalle tue parti”. E perché mi disse “dalle tue parti”? Vuol dire che lui non era di Pellaloco, perché sarebbe stato anche lui dalle nostre parti: un particolare che sottolineai più tardi insieme al fatto di averlo trovato in chiesa, in piedi, come stesse per attendermi, e nel modo di consigliarmi mostrò che veramente mi attendeva! Ma non poteva essere il parroco malato che dopo qualche settimana si è spento dopo la lunga e straziante malattia. Torno a ripetere che in quel momento tanta era la preoccupazione di poter sapere cosa potevo e dovevo fare che ogni dubbio non è stato preso in considerazione, neppure il fatto dei sandali e delle mani infilate nelle maniche. Mi è bastato di vedere un sacerdote per pensare che era il parroco che cercavo, al quale chiedere consiglio e dirgli che prima di muovermi ancora avrei atteso un segno dall’alto che mi aprisse la strada e aiutasse i Superiori e credere al Disegno di Dio. [...]
Conoscendo meglio i fatti straordinari di Padre Pio (1993-1994) con la lettura di alcuni libri, mi tornò alla mente quell’incontro a Pellaloco, si risvegliarono e allargarono i dubbi, gli interrogativi su chi avevo visto! Se era ammalato molto grave, come poteva trovarsi in piedi in chiesa ad attendermi, ad aspettarmi? Come ha fatto riconoscermi e sapere già cosa dirmi avendolo incontrato solo alcune volte e da tre anni non lo vedevo, sapendo quanta gente incontrava? Facevo difficoltà a comprendere il linguaggio, cosa che non avevo avuto nei precedenti incontri. Tacevo e speravo di comprendere il senso nell’insieme il discorso. Mi sembrava che le parole entrassero per la gola e poi comprenderne il senso! Mi chiamò con la parola confidenziale: “Ualiò”. Non si usa nel mantovano, ma a San Giovanni Rotondo. “Un sacerdote dalle tue parti fra Brescia e Verona”, mi disse. Vuol dire che lui non era delle mie parti: Pellaloco è al confine delle diocesi di Mantova e Verona: è dalle nostre parti!
Teresa Agostini
Perth Western, Australia
[Testo così come è stato inviato dal figlio Rudy]
Ecco le storie e testimonianze di Padre Don Rodolfo che mi ha raccontato mia madre (Teresa Agostini).
Prima di diventare un prete Rodolfo Ridolfi era laureato come dottore medico. Quando era nel militare ha preso una malatia inquaribile (un tumore). Rodolfo Ridolfi si a rivolto a Santa Rita da Cascia. Ha promesso a Santa Rita che se rimanesse in vita lui diventerà un sacerdote, gli ha promesso: “sarò il tuo servo per tutta la mia vita”. La mama mi ha spiegato che Padre Don Rodolfo si metteva una facia [fascia] in torno la sua vita/vente [ventre] che aveva piccoli chiodi cosi offriva questa sofferenza a Santa Rita che allora Santa Rita poteva aiutare gli altri.
La mia mamma (Teresa Agostini) e andata a visitare Padre Don Rodolfo per domanare a lui un favore. Lo ha trovato in chiesa in piedi con una mano appogiato sul l’altare (era frequente in piedi perche aveva quella facia [fascia] per la sofferenza) La mamma gli ha domandato a Padre don Rodolfo per la grazia di avere un figlio nel futuro. Padre Don Rodolfo gli risponde: “Si avra un figlio, ma devi sempre fare il tuo dovere”. Doppo queste parole la mamma ha laciato la chiesa. Solo poche parole perche cera sempre una fila lunga di persone che visitava Padre Don Rodolfo nella sua chiesa per domandare per una benedizione. Nel fra tempo che la mamma aspetava il arrivo del baby (infante) la mamma come per ringraziamento ha promesso fra se stessa che se e un figlio lo chiamo, Rodolfo. Nel fra tempo Padre Don Rodolfo e morto e io sono nato tre mesi e mezzo doppo la sua morte. Doppo sei mesi di nascita Padre Don Rodolfo ha mandato un messagio alla mia mamma verso la sua sorella (la mia zia Cinda). Il messagio era: “Il tuo figlio (io) sara protetto nell futuro, perche anche porta il mio nome!”. La Zia Cinda conosceva Padre Don Rodolfo da molto tempo. Non sappiamo da dove o come la Zia ha riccevoto il messagio ma lo ha deliverato [consegnato] subito alla mamma (Teresa Agostini).
La Zia Cinda un giorno e andata a visitare Padre Don Rodolfo e gli a detto che il suo marito (Antonio) non era in buona salute. Il dottore gli aveva trovato un tumore nella sua gola e doveva operare. La Zia Cinda a domandato a Padre Don Rodolfo per la grazia che tutto andrà bene per la operazione. Padre Don Rodolfo gli ha detto: “La operazione andrà bene perche sono Io e Santa Rita che ti opera”. La operazione e andata bene e il zio ha vissuto per molti anni dopo.
La Madre di mio padre (La Nonna) si aveva fatto male la schiena e era in ospedale per quattro anni a Venezia. La mia Zia Cinda andava qualche volta per visitarla. Un giorno la Nonna ha detto alla Zia Cinda che voleva propio a ritornare a casa ma era confinata a l’ospedale. La Zia Cinda gli ha detto che va a visitare Padre Don Rodolfo per domandare per questo favore e a portato a Padre Don Rodolfo un paio di calze della Nonna per benedire per farla venire a casa. La Zia Cinda e andata a visitare Padre Don Rodolfo, e gli ha detto che questa persona e stata in ospedale per quattro anni e vorebbe a ritornare a casa. Padre Don Rodolfo gli disse “No. Non puo quella a venire a casa, certe famiglie non ha il merito”. Ma la Zia Cinda a insistito. Allora Padre Don Rodolfo a messo un ditto sulle calze e disse: “Allora quella puo a venire a casa, ma non puo a fare niente e deve portare il busto per la schiena”. Cosi e successo.
Cera un prete che deliverava [consegnava] ogni settimana I bollitini per le chiese in quella regione dove che si trovava la chiesa di Padre Don Rodolfo. Questo prete come per via di discussione generale diceva a Padre Don Rodolfo sempre intorno lo stesso sogetto: “Doppo Morti non si vediamo piu!” Un giorno questo prete a preso il treno e a visto Padre Don Rodolfo seduto nel treno. “Sto per deliverare [consegnare] I bollitini” gli disse a Padre Don Rodolfo. “Prima vado a questa chiesa qui vicino e dopo passo per quella tua chiesa a Pellaloco”. Padre Don Rodolfo gli disse: “Se non mi trovi in chiesa quando passi piu tardi, allora va a quest altro l’indirizzo e mi trovi per sicuro”. Il prete dice ciao a Padre Don Rodolfo e dicende dal treno per andre alla prima chiesa per deliberare [consegnare] i bollitini. Appena il prete dicende dal treno, una signora che lo conoceva va subito al prete e gli disse “hai sentito, hai sentito?”. “Cosa?” domanda il prete. “Padre Don Rodolfo e morto ieri”. Il prete a detto: “ma no e impossibile lo ho appena visto in treno”. Il prete ando insieme con la sigiora subito al secondo indirizzo che Padre Don Rodolfo gli aveva detto sul treno. Sono andati a questo secondo indirizzo – era l’indirizzo della cella mortoria.
Gerardo Fumagalli
Vago di Lavagno (VR)
Don Rodolfo Ridolfi, defunto parroco di Pellaloco, ‘santo’ - se intendiamo tra quelli riconosciuti ufficialmente della Chiesa - non è... però ragionandoci... è da vedere. Molte persone lo hanno conosciuto (essendo trascorsi 52 anni dal decesso), saranno con lui, o chissà dove abitano, e forse altri avrebbero potuto conoscerlo, se qualcuno non avesse voluto oscurare la sua opera.
Quello che veramente voglio esprimere non è una semplice testimonianza (ne avrei comunque moltissime) del tipo: quel giorno stavo male, ho pregato don Rodolfo e il male è passato, oppure quel giorno avevo quel problema spinoso e dicendo: “Don Rodolfo aiutami, illuminami”, il problema si è risolto, o “Don Rodolfo è sparita la mia gatta Shelly non riesco a trovarla, fammela ritrovare, possibilmente viva” ... e dopo 45 giorni è ricomparsa (in situazione pietosissima: fu data per spacciata dai veterinari) ed è ancora qui che mi fa compagnia...
Sono nato nel 1959 da genitori cattolici che si sono conosciuti tramite don Rodolfo, in quanto la famiglia di mio papà Giuseppe era di Villafranca di Verona e frequentava Pellaloco, che in quegli anni - sulla scia della risonanza delle virtù di don Rodolfo - era meta di molti afflitti provenienti non solo dall'Alta Italia, ma anche dall'estero. Mia mamma Cornelia invece, proveniente da una frazione di Verona, arrivò a don Rodolfo su suggerimento di autorevoli personaggi dell'epoca del mondo ecclesiale, medico e scientifico, alla ricerca di spiegazioni alle moltissime cose ‘straordinarie’ che le succedevano. Mia madre scoprirà col tempo di essere dotata di capacità pranoterapeutiche, medianiche e di post e preveggenza. Desidero raccontare un episodio sbalorditivo. Erano gli anni ’50, mia mamma aveva poco più di trent’anni allora e un giorno andò a far visita don Rodolfo nella casa dove abitava, luogo di tragici misteri a non meno di 35 chilometri da Pellaloco... Improvvisamente egli fu presente senza esser entrato per la porta, vi rimase un poco e dopo averla rincuorata, ancora improvvisamente sparì. Dopo lo stupore, l'incredulità e in parte lo spavento, ella si informò da fonti certe dove in quel momento potesse essere don Rodolfo. “A Pellaloco” le fu risposto!!! Il tutto poteva far supporre ad una visita in bilocazione o era invece frutto di fantasia? La risposta la ottenne quando, all’incontro successivo, stavolta ‘materiale’ con don Rodolfo a Pellaloco, egli l'accolse ridendo benevolmente dicendole: “Ciao Cornelia, ti ho spaventata?” Molte volte negli anni mia mamma mi raccontò questo episodio e ogni volta con lo stesso stupore, lo stesso non capire e gli stessi dettagli, come rivivendo quel momento. Io ero giovane, non capivo la serena magica meraviglia che mi voleva trasmettere! Da bambino con i miei genitori qualche volta si andava a Pellaloco, ma raramente, un po’ per i 70 chilometri di viaggio, un po’ per mille motivi... e gli anni passavano. Poi persi mia mamma che avevo 21 anni, ma ero già sposato con un figlio di due anni e da tre con un lavoro in proprio nel settore auto - mia grande passione. Tanto tribolare, ma mi piaceva, e così ancora gli anni passavano con qualche occasionale visita con la mia famiglia a Pellaloco. Nel 2004 poi, dovendo recarmi spesso a Villafranca per affari, ne approfittavo allungando un po’ la strada, ricordandomi di ciò che papà e mamma mi raccontavano... Di solito andavo la domenica pomeriggio, da solo, e lì cominciai la scoperta di questa ‘magica’ Pellaloco, paesino di campagna semplice come quelli di un tempo. A volte mi capitava in un pomeriggio domenicale di non incontrare nessuna persona: ciò, nell'assoluta tranquillità, mi permetteva di ascoltare meglio quello che il luogo poteva trasmettermi; mi sedevo in chiesa, nella parte recente che ha probabilmente fatto costruire don Rodolfo e, in particolare, in una panca dove ad un metro di distanza, appeso al muro, vi era un meraviglioso ritratto di don Rodolfo; lì si stabiliva un contatto telepatico, che era una ‘chiacchierata’, una confessione dei miei peccati, una richiesta di aiuto, un conforto, un perdono... ma non stavo parlando col muro, o da solo, o con un morto, ma con un'entità spirituale... che telepaticamente rispondeva... come un amico. Era frequente percepire uno stato di tristezza e paura risalente a eventi tra il 1938 e il 1945... poi venivo attirato nella stanza confessionale posta nella parte antica della chiesa e lì l'atmosfera è indescrivibile: usando poche parole, vi è molto dolore, molta lotta e molto amore. Non mi sono mai informato se don Rodolfo riceveva lì chi gli chiedeva aiuto, ma direi di sì. Moltissimi episodi, che tassativamente escludo siano coincidenze, perché - mi permetto di dire - li analizzo in modo estremamente razionale, freddo, matematico, ricercandone prima ogni spiegazione possibile nelle tecniche umanamente conosciute (che da anni studio), mi hanno convinto che don Rodolfo è ancora tra noi; in particolare, egli mi ha fatto sperimentare la sua presenza a Verona poco prima del Suo 50° anniversario. Almeno un episodio che mi ha stupito lo racconto; come dicevo andavo spesso per affari la domenica pomeriggio a Villafranca e quasi sempre ne approfittavo per una visita a Pellaloco. Era inverno e dopo pranzo sonnecchiavo in cucina sulla mia amata sedia sdraio... Di andare a Villafranca o in altri posti voglia zero, ma nel ‘più dormi che veglia’ qualcosa o qualcuno mi diceva: “Vai!”... “No, non ne ho voglia”... “Vai!”... “No”... “Vai!”... A un certo punto come una molla scattai in piedi e pochi minuti dopo, circa alle 13.30 ero già in macchina: c'era freddo, cielo grigio, clima asciutto. Decido come prima cosa, di dirigermi a Pellaloco e fermarmi a Villafranca al ritorno; circa alle ore 14.30 arrivo alla prima meta e per prima cosa faccio una visita al cimitero dove è sepolto don Rodolfo, entro nella chiesetta - massimo uno o due l'Eterno Riposo - e intravedo, dietro un vaso di alti fiori posto sulla mensolina sottostante la lapide, un 4 che mi attira. Automaticamente sposto i fiori, prima sorpresa, mega brivido da piedi a testa, stupore: 04.01.1899. Data di nascita di don Rodolfo! Dov’è la stranezza? Che quella domenica era il 04.01.2009, il suo 110° compleanno! Forse tutti se ne erano dimenticati? Sorrisi, dicendo ad alta voce: “Adesso ho capito perché vado, non vado, e tutto un tratto parto... Buon compleanno don Rodolfo!” Voglio precisare (lo giuro!) che la data di morte 18.09.1961 la ricordavo benissimo, ma quella della nascita, anche perché questa era nascosta dai fiori e la lapide esterna non riporta la data di nascita, ma solo la data di insediamento di don Rodolfo come parroco di Pellaloco e quella della morte. Qualche preghiera ancora e sento il rumore di un auto che parcheggia, strano. Mi chiedo: “Così presto nel pomeriggio arriva gente al cimitero?” Seconda sorpresa. Entra un distinto signore, direi di circa dieci anni più di me, non va da suoi defunti, ma entra proprio dove ero io, nella chiesetta. “Buongiorno” diss’io. “Buongiorno” risponde, ma dopo qualche minuto mi chiede se sono un parente di don Rodolfo. “No... sono un devoto”. “Anch' io sa... da bambino facevo il chierichetto e ho sempre conservato un bellissimo ricordo di don Rodolfo”. Poi iniziammo a parlare e tra le tante cose mi stupii che conoscesse e ricordasse mio papà, i miei zii e zie che non erano di Pellaloco. Decido di andare e lo saluto con gioia, ma appena apro la porta per uscire... Caspita, che nebbia! Pochi minuti prima neanche un filo! “Arrivare a Villafranca e poi fino a casa... sarà lunga” pensai. Della mia auto parcheggiata davanti al cancello a meno di venti metri si vedeva solo un'ombra, ma non si distingueva assolutamente modello e colore. “Va bene, pian piano arriverò”. Uscito dal cancello vedo l'auto del gentil signore e terza sorpresa... la targa dell'auto. I tre numeri tra le quattro lettere erano 888, numero che spesso ricorre nella mia vita; particolarmente da un po’ di anni a questa parte (non so il perché), a meno che non sappia alla partenza di dover spendere di più, esco di casa con in tasca una banconota da 50 euro, una da 20, una da 10 e una da 5, una moneta da 2 e una da 1 che danno un totale 88 di euro, non volendo per scelta portarmene anche altri tagli (perché troppi), la cui somma totale, incluse le banconote da 100 da 200 e da 500, sarebbe di 888 euro!!! Ma ecco la quarta e più inspiegabile sorpresa... Salito in auto, e uscito dal piazzalino del cimitero, dopo non più di 10/15 metri della stradina che porta alla strada principale non potevo crederci... neanche un filo di nebbia, neanche quanto il fumo di una sigaretta. A questo punto ho fermato la macchina e sono sceso perché non capivo se credere ai miei occhi. Voltandomi verso il cimitero si vedeva uno scenario che qualunque vocabolo usassi sarebbe riduttivo. Il solo cimitero era avvolto da una fittissima palla di nebbia, tutt’attorno zero, si vedeva benissimo per chilometri... e limpidissimo anche sopra e attorno al corso d' acqua che costeggia la stradina, mai visto uno scenario così... Ripartito e fino a casa, 35 chilometri, nebbia zero! Ogni spiegazione geotermica, fisica e razionale è rimasta avvolta... nella ‘nebbia’ del mistero! E la mia convinzione è che sia stato un episodio che con quattro (come il giorno) così evidenti fatti in mezz’ora, don Rodolfo mi abbia voluto far capire che mi è vicino spiritualmente e che lo può essere a chi ha fiducia in Lui, in vita so che diceva alle persone: “Quando non ci sarò più, pensatemi e io mi farò trovare!” Pellaloco ha poche centinaia di abitanti, nel piccolo cimitero sono sepolti, pochissimi defunti, perciò ci dovrebbero essere anche pochi frequentatori, ma davanti alla tomba di don Rodolfo ci sono sempre tanti bei fiori freschi e tanti lumi (che si consumano in fretta) sempre accesi, perciò vuol dire che quanti vanno, vanno con devozione e da quando è stato disposto un libretto per lasciare qualche pensiero, testimonianza o preghiera, tanti hanno anche scritto per don Rodolfo messaggi d' affetto, di ringraziamento e molte richieste d' aiuto. Si può inoltre documentare quanto don Rodolfo fosse ingegnoso; sappiamo che molte opere come il villaggio S. Rita, la nuova canonica, l’asilo e la fabbrica metalmeccanica - nate per dare lavoro alle persone del luogo - sono opera sua per il bene di Pellaloco e dei suoi abitanti. Ho potuto constatare quante persone ancora lo ricordano per il bene ricevuto: economico (aiutava con gioia i poveri), fisico (anche grazie alle sue nozioni di medicina, qualche dritta la sapeva dare), morale (primeggiava nell'ascolto e nel dialogo con gli afflitti: ‘medicine’ ormai introvabili dato che oggi ti dicono che non hanno tempo o, se ti ascoltano - ma bisogna esser brevi - ti danno le inutili rispostine fatte di stupidaggini), spirituale (le benedizioni e gli esorcismi in alcuni casi indispensabili, sappiamo che sono tanto più efficaci, quanto più chi li pratica è in santità). Perciò ben vengano tanti altri don Rodolfo: la nostra umanità ne ha veramente bisogno, e concludendo voglio dire che, nel mio cuore e nella mia mente, don Rodolfo Ridolfi da Pellaloco è già santo!
Dante Bignotti
Pozzolo di Marmirolo (MN)Quell’uomo lì era straordinario indipendentemente dalle credenze; io sono infatti un cristiano a metà. Conobbi don Rodolfo all’età di 16/17 anni e con lui mi capitarono delle esperienze davvero particolari. La prima riguardava una mia zia che abitava con noi e aveva una malattia che chiamavano encefalite. Comunque non stava bene. Io l’accompagnavo in bici più volte da don Rodolfo. All’andata la spingevo perché non aveva forza per pedalare, ma al ritorno - dopo che don Rodolfo la riceveva e benediva - tornava come rinvigorita e pedalava da sola. Dopo i colloqui e le sedute posso confermare che si sentiva meglio. Un’altra esperienza riguardò una mia vecchia fidanzata. Scoprì che questa aveva una grave malattia e, nonostante esortazioni dei parenti, io non volevo rinunciarvi. Andai così da don Rodolfo il quale mi disse: “Stai tranquillo che troverai una persona migliore di questa”. Infatti poco dopo incontrai quella che è attualmente mia moglie, Ida Marchesini. Il terzo fatto straordinario si verificò negli anni di leva, nel 1955. Infatti io avevo un soffio al cuore e a Roma, nonostante tutto, mi considerarono come ‘abile’. Mi recai da don Rodolfo con mio padre che gli spiegò la situazione. Don Rodolfo mi guardò e mi disse: “Dante non preoccuparti che te stai a casa da militare”. Me lo disse con estrema sicurezza. Io lo ringraziai. Tornando con mio papà verso casa, in moto, io che guidavo all’improvviso vidi davanti a me don Rodolfo con le braccia aperte. Ero credulo, ma anche incredulo. Don Rodolfo non poteva essere lì in mezzo alla strada. Un’altra volta don Rodolfo mi disse di presentarmi all’ospedale di Mantova cercando una suora e di dirle: “Don Rodolfo non scherza”. Poco dopo mi arrivò a casa il foglio di congedo dalla leva che mi garantiva non dovevo andare a servizio per il soffio al cuore. Ho regalato in ringraziamento a Santa Rita un cuore d’argento perché don Rodolfo non voleva mai soldi. Era un uomo dedito alla gente.
Giovanna Pugnetti
Brescia (BR)
Sia io che mio marito eravamo di Lumezzane, vicino a Brescia. Poi ci trasferimmo in città.
Quando ero giovane e andavo ancora a scuola, mia suocera Vittoria mi disse che le avrebbe fatto piacere conoscessi don Rodolfo. Lei sarebbe andata da lui proprio all’ora in cui uscivo dalla classe. Dissi all’autista di far presto perché magari, anche se molto difficilmente, la avrei raggiunta in tempo prima che si avviasse per Pellaloco. Ma proprio in strada, in una strettoia la nostra macchina e quella che veniva dal lato opposto rallentarono: sull’altra vidi un sacerdote che mi salutava e benediva con la mano. Era don Rodolfo Ridolfi. Ovviamente non poteva trovarsi su quella macchina perché lui era a Pellaloco e mia zia l’aveva già raggiunto da un po’, scoprì in seguito. Aveva quindi doti di bilocazione e ne feci esperienza qui per la prima volta. Anni dopo sempre la mamma di mio marito, anziana, stava molto male e ci recammo un mercoledì del 1960 da don Rodolfo per chiedere che pregasse per lei. Don Rodolfo le scrisse una lettera che preannunciava che sarebbe salita al Cielo nel giorno della Resurrezione del Signore, nella Pasqua del 1960. E così fu. Il 16 aprile 1960 veniva a mancare. Il 4 agosto, io, incinta, mi recai da don Rodolfo dopo aver sognato tutta notte che ero con il braccio su un quadro di Santa Rita. Don Rodolfo mi disse che era segno che era il momento per il nascituro di venire alla luce e mi consigliò di andar subito in ospedale. Lì partorii un giorno dopo e non solo nacque un bambino, Vittorio, ma scoprirono ne avevo un altro in grembo morto da quattro mesi, proprio nel giorno del 16 aprile del 1960. Diedi a Vittorio anche il nome di Rodolfo Luigi perché così aveva chiesto don Rodolfo. Egli sapeva leggere il nostro destino. Io credo in don Rodolfo e ho ancora in camera una sua foto. Una notte a Lumezzane ho invocato l’aiuto di don Rodolfo alle tre di notte. Il giorno dopo lui mi disse: “Non chiamare me, chiama l’angelo di don Rodolfo”. Mi colpì molto questa sua affermazione e non la scordai più. Un’altra volta fuori dalla chiesa di Pellaloco don Rodolfo salutò me e mia cognata, ma nel farlo si soffermò a lungo a guardare le ruote anteriori della macchina. Mia cognata mi disse: “Perché guardava così le ruote anteriori?” Io risposi di non saperlo. Il giorno dopo esatto quell’auto uscì di strada a causa del distaccamento di quelle ruote che don Rodolfo guardava il giorno prima e mio figlio Gianni e il nostro autista Ugo si fecero molto male, ma sopravvissero: l’autista strisciò per molti metri con la schiena, mentre mio figlio Gianni si cappottò tre volte con la testa. Don Rodolfo ci disse in seguito che l’aveva salvato Santa Rita con il suo grembiule e lui, don Rodolfo, le era a fianco.
Il 3 giugno del 1961 incontrammo don Rodolfo che, in argomento di politica, ci riportò le parole di un discorso tenuto tra Kruscev e Kennedy riguardo gli esiti della Guerra Fredda. La sera mio figlio al telegiornale sentì lo stesso preciso discorso tenuto quel giorno tra i due ministri a Vienna, lo stesso che aveva riportato don Rodolfo in giornata. Ma come aveva fatto a sapere le esatte parole riportate a quel congresso se era a Pellaloco e non a Vienna? Evidentemente lui al discorso era presente.
Don Rodolfo mi confessò che era stato cappellano del Principe di Torino, Vittorio Emanuele di Savoia. Diceva all’inizio di non sapere neanche dove fosse collocata la chiesa di Santa Rita; poi di quella chiesa a Torino imparò anche dove si trovavano le scope. Tutto ciò me lo disse segretamente.
Portava male i suoi anni. Me lo ricordo molto anziano.
Una sera io e mio marito facemmo tante risate riguardo a un bottone che dovevo attaccargli. Ridevamo sul fatto che dovevo attaccarlo nella giusta posizione perché se no i pantaloni sarebbero stati troppo stretti o larghi.
La mattina dopo chiamai don Rodolfo per salutarlo e lui mi disse: “Quanto ridere che avete fatto ieri su quel bottone”. Ancora una volta mi confermò che sapeva cosa accadeva anche a distanza.
Nella mia camera ho ancora la foto di don Rodolfo con la nostra famiglia e alcune sue cartoline. Non posso dimenticare la felicità sul suo viso quando mio marito, Graziadio Prandelli, noto industriale, gli promise che insieme avrebbero avviato la fabbrica di confezioni che diede poi lavoro a molti della zona. In cantiere c’era anche la costruzione del Villaggio Santa Rita. Mio marito finanziò anche quel progetto e insieme posero la prima pietra; ma poi, dopo la morte di don Rodolfo, più nessuno si interessò e il Villaggio non fu edificato completamente. Conservo ancora l’articolo di giornale dell’inaugurazione dell’opificio per merito del vescovo Poma e una sua lettera di ringraziamento destinata a noi benefattori. Mai dimenticai l’amicizia che ci legava a quel sacerdote che fu ripagata in parte realizzando il suo progetto. Nessuno fu più in grado, dopo di lui, di tener testa alla sfida del progresso tecnologico e industriale che avanzava più che mai.
Maria Gamba
San Giorgio di Mantova (MN)
Era un santo e quando devo parlarne devo anche chiudere la porta perché mio marito non ci crede. Io invece ho creduto in lui fin dall’inizio. L’ho conosciuto quando avevo circa 25 anni, ora ne ho 84. Mia suocera non mi ha mai sopportato perché ho quattro anni in più di Luciano, suo figlio. È ancora viva (ha 100 anni ormai) e da sempre fa fatture e perseguita me e mio figlio Marco. Quando era piccolo piangeva giorno e notte. Io mi recai da don Rodolfo che mi disse di bruciare il materasso. Quando andai a casa scoprì infatti che dentro c’era di tutto: ossicini a forma di bara, piume a forma di mazzi di fiori e altre schifezze. Da allora mi recavo spesso da don Rodolfo per farmi benedire le magliettine di mio figlio, per dargli sempre protezione. Don Rodolfo ha fatto tanto nel paese di Pellaloco. Una volta ho assistito a una scena buffa: una signora portò a don Rodolfo tre galline. Lui le disse: “Due me le tengo, ma le altre riportale dove le hai prese”. Sapeva infatti che le aveva rubate. In un’altra circostanza don Rodolfo mi aiutò molto. A Modena avevano diagnosticato a mio figlio una forma di diabete e avrebbero voluto operarlo di lì a breve. Don Rodolfo mi disse che era sano e aveva solo una fessura nei reni che faceva passare le urine, ma il diabete non lo aveva. Mi disse: “Se lo porti lì, lo riporti a casa in bara”. Ovviamente non lo portai. Nel 1961, tornando da lui, mi disse di tenerlo a casa, fargli mangiare tutto e pregare molto (io ho sempre pregato con mia mamma). Poi don Rodolfo morì, ma io lo rividi. Quando mio figlio aveva circa 25 anni, in occasione dell’anniversario di morte di don Rodolfo, il 18 settembre, don Rodolfo di giorno (e non in sogno) mi apparve in casa, vicino al letto. Mi disse: “Io ti aspetto”. Così chiamai mio figlio, gli raccontai del fatto esemplare e lui mi portò a messa a Pellaloco. Voleva insomma essere ricordato da me e mio figlio, nel suo giorno, per tutto il bene che ci aveva fatto. A Messa piansi come una bambina e mi dispiacque perché arrivai al momento della comunione. Dopo altri 5 o 6 anni andai alla festa di Santa Rita, ma non tornai a casa con nemmeno una rosa benedetta. Di notte mi visitò (questa volta in sogno) Gesù che, accanto a me nel letto andò al balcone. Là mi colse la rosa più bella e me la mise a fianco del cuscino. Ancora oggi vado a Peschiera per pregare: un laico impone le mani per liberarci e proteggerci dai mali (purtroppo fino alla morte dovrò proteggermi da mia suocera). Il laico un anno fa circa disse che in un dato momento Gesù era in mezzo a noi e stava toccando tutti, uno ad uno. Il laico disse che a me non solo mi toccò, ma mi abbracciò. Poi andò via dalla stanza dove ci trovavamo a pregare. Infine anche Papa Giovanni, una volta che ero molto malata, mi apparse in camera e mi disse di pregare tanto, perché solo con la preghiera mi sarei salvata. Era il periodo in cui recitavo sempre la corona del Bambin Gesù di Praga.
Luciano Muzza
Peschiera del Garda (VR)
Negli anni '50 la fama del Santuario di Santa Rita a Pellaloco era all'apice, grazie anche alla fama di guaritore di don Rodolfo Ridolfi, parroco della piccola frazione di Roverbella. Il modo più comodo per arrivarci era giungere alla stazione ferroviaria di Mozzecane e poi con un taxi proseguire sino al Borgo. Allora ventenne, insieme a mio padre Amleto (nato a Goito), gestivo il servizio di taxista. La prima auto da taxi dell'azienda fu una macchina americana, la "Oldsmobile”; poi una “Fiat 1900” e infine una “Aprilia Pininfarina”. Si portavano anche sino a 9 persone. Abitai per un anno anche a Borgo Quaresima a Malavicina e dopo una decina di anni di questo lavoro, aprì una macelleria e salumeria a Mozzecane. Ricordo che ogni settimana portavo dalle trecento alle seicento persone da don Rodolfo, il quale riceveva tutti dietro all'altare. Ho un ricordo vivissimo dei fedeli, dei personaggi e delle richieste miracolistiche al parroco a cui mi legava una particolare amicizia e simpatia reciproca. Ricordo che ero presente quando un contadino portò a don Rodolfo cinque galline e lui ne accettò solo due, invitando il contadino stupefatto a restituire le altre tre a chi le aveva rubate. O quella volta che, invece di ricevere in modo riservato un fedele, gli chiese di dire davanti a tutti quale era il suo problema. Imbarazzatissimo l'uomo gli chiese aiuto per i continui attacchi di gelosia della moglie. Don Rodolfo che non difettava certamente di ironia, lo rincuorò dicendogli che non essendo tra coloro che potevano essere annoverati tra i bei cristiani, lei non aveva nulla da temere su possibili tentazioni. Ricordo poi che un giorno arrivato da don Rodolfo, egli mi disse con una certa noncuranza: "Vedi, se arrivavi dieci minuti prima mi trovavi con Padre Pio”. Sul momento non detti importanza al fatto, ma negli anni mi resi conto della straordinarietà dell’evento. Ogni lunedì ricordo che portavo don Rodolfo al Banco di Roma a Verona: lì infatti lavorava un nipote del sacerdote e vi abitava anche un suo caro amico, l’ingegner Toso che lavorava per un’azienda produttrice di pregiati lampadari veneziani. Altri giorni, invece, lo portavo dalle suore di Costermano sul Garda (VR) per farsi fare dei ricami e altri a Domegliara, in provincia di Verona, dove abitava invece un suo caro amico. Ricordo poi che la statua di Santa Rita è stata regalata dal conte Gaetano Marzotto. Rimpiango di avere avuto cultura e una macchina fotografica. Il Vescovo di Mantova gli diceva di non vedere persone per più di 2/3 giorni a settimana e lui si arrabbiava. Era un bravo confessore. Quando si andava da lui diceva: “Te li racconto io o me li racconti tu?”. Guai a dirgli che faceva miracoli. Mandava facilmente a quel paese e rispondeva: “Chi fa la pipì in terra santi non ce ne sono” come a dire che i santi sono solo del Cielo. Aveva sempre una buona parola per tutti, anche verso chi lo trattava male. Ricordo che alla festa dell’Ave Maria si tenne una processione per 30 km: i bambini cantavano e molti suonavano il violino. Dal ’58 il suo corpo per un paio di anni si è ricoperto di psoriasi.
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